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Il terremoto è l’effetto dell’improvvisa rottura e scorrimento relativo delle masse rocciose che compongono la crosta terrestre. Queste rotture avvengono lungo zone di debolezza dette faglie (figura 1). I grandi terremoti, con magnitudo generalmente maggiore di 6, producono effetti non solo sul costruito ma producono anche effetti permanenti sulla superficie terrestre in un area ampia alcune centinaia di km2. Tali effetti sono la diretta conseguenza dello spostamento relativo delle porzioni di crosta terrestre lungo il piano di faglia ma anche del passaggio dell’onda sismica. Gli effetti diretti e chiaramente riconoscibili senza l’uso di strumenti sofisticati, hanno luogo in corrispondenza dell’intersezione del piano di faglia con la superficie terrestre. Qui infatti, lo spostamento avvenuto in profondità, si evidenzia con la formazione di una scarpata di faglia, che rispecchia sia come geometria, cinematica ed entità, il movimento sulla faglia (figura 1).

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Figura 1 – Schema semplificato del movimento sul piano di faglia in occasione di un terremoto. La deformazione che ha luogo sul piano di faglia alle profondità ipocentrali si propaga fino alla superficie e forma una scarpata di faglia che separa, nel caso di una faglia normale un settore sollevato [+] da uno ribassato [-].

Altri effetti diretti del terremoto sono il ribassamento/sollevamento di porzioni della superficie terrestre (figura 1) che possono essere misurate con la geodesia e il telerilevamento e che se di entità ingente producono come effetto visibile impaludamento, inondazione, o emersione particolarmente apprezzabile in prossimità di aree costiere. Tra gli effetti indiretti, quindi non necessariamente legati al movimento sul piano di faglia, i più comuni sono la liquefazione, frane e crolli, e i maremoti.

La liquefazione ha luogo in presenza di depositi sciolti, a prevalenza sabbiosa saturi in acqua, quindi la osserveremo preferibilmente in piane alluvionali e costiere. Il passaggio dell’onda sismica crea delle sovrappressioni nei livelli saturi che porta alla loro liquefazione (perdita delle caratteristiche geotecniche del terreno fino ad assumere un comportamento tipico dei fluidi) e alla conseguente migrazione del materiale liquefatto verso la superficie. Frane e crolli vengono innescati dalle accelerazioni del terreno su versanti acclivi e generalmente instabili anche in condizioni normali.

Tutti questi effetti rappresentano le registrazioni geologiche dei terremoti e che, se preservate nel tempo attraverso il seppellimento da parte di depositi più recenti, possono essere “lette” dal geologo come in un libro. Poichè il libro geologico racconta una storia ben più lunga di quella raccontata dall’uomo, l’integrazione dell’informazione geologica a quella storica, archeologica e strumentale ci permette di ricostruire la storia sismica di una regione o di una faglia per millenni o decine di millenni. In questo modo quindi si può fornire un quadro più rappresentativo del reale comportamento sismogenetico nel tempo.

Il riconoscimento e la datazione di terremoti del passato che hanno prodotto gli effetti discussi sopra costituisce il nucleo dell’approccio paleosismologico. La paleosismologia è una disciplina relativamente recente che insieme alla geologia del terremoto si basa sullo sviluppo di studi multidisciplinari che portano dapprima alla caratterizzazione della(e) faglia(e) attiva(e) quali potenziali sorgenti sismogenetiche e successivamente alla individuazione e datazione delle registrazioni geologiche degli eventi sismici che si sono succeduti nel tempo.

La tecnica principe in paleosismologia è lo scavo di trincee attraverso scarpate di faglia (figura 2). Le trincee hanno lo scopo di mettere in luce le stratigrafie più recenti interessate da strutture o sedimenti che siano l’evidenza di forti terremoti del passato. Gli effetti del terremoto sulla superficie rappresentano delle anomalie all’interno della normale sequenza sedimentaria. Ad esempio su un versante più o meno acclive, se interessato da fagliazione superficiale, i processi di sedimentazione ed erosione vengono temporaneamente modificati. Infatti da una sedimentazione monotona tipica di versante si passerà ad un accumulo veloce alla base della scarpata di faglia di materiali rimossi dalla parte sollevata (colluvial wedge) finchè non è ristabilito un equilibrio di versante. L’orizzonte stratigrafico a cui avviene l’anomalia viene definito “event horizon” e il passo successivo è quello di datarlo e quindi datare il terremoto che lo ha prodotto. La datazione è generalmente basata su metodi geocronologici e archeologici. Il metodo del radiocarbonio è certamente il più comune e si applica generalmente agli ultimi 40-50kanni. Come sempre in stratigrafia, la datazione di un livello è riferita ad un intervallo temporale, con le dovute incertezze. Correlazioni con i terremoti storici possono aiutare a ridurre questo intervallo in modo sostanziale.

Indagini paleosismologiche estese a siti ed intervalli temporali diversi permettono di stimare i parametri sismogenetici tipici della faglia (lunghezza, slip rate, slip per evento, tempo di ricorrenza, Mmax). Altra informazione che aggiunge a quelle derivate dalle indagini storiche è l’assegnazione diretta dei terremoti alla faglia sismogenetica che li ha generati. Tutte queste informazioni sono utili a sviluppare “modelli di segmentazione e ricorrenza” che devono confluire nelle moderne stime di hazard sia probabilistico che deterministico.

Nel corso della presentazione saranno mostrati esempi di studi paleosismologici da varie parti del mondo e sara’ utilizzato come caso di riferimento per l’Italia lo studio effettuato sulla faglia dell’Irpinia.

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Figura 2 – sinistra: scarpata di faglia prodotta dal terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980 attraverso il Pantano di San Gregorio Magno. La rottura, con direzione NW-SE e ribbassamento del settore NE è stata riconosciuta per una lunghezza di circa 38 km; destra: trincea paleosismologica attraverso la scarpata di faglia del 1980 a Piano di Pecore (Colliano), l’analisi dello scavo ha permesso di individuare 5 terremoti con fagliazione superficiale precedenti al 1980, negli ultimi 7000 anni.