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I rischi a cui è esposto il nostro territorio sono numerosi. Pensiamo a quello sismico, a quello vulcanico per parti circoscritte, ma anche a quello ambientale con un dissesto idrogeologico che è sempre incombente. Si possono ipotizzare politiche generali con cui agire per una ‘cura’ del nostro Paese? Lo abbiamo chiesto al Dott.Fausto Guzzetti, Direttore per la prevenzione e previsione dei rischi del Dipartimento di Protezione Civile. Ospite d’Onore di questo mese del nostro salotto virtuale, Fausto Guzzetti ha risposto a questa e ad altre domande in una intervista tutta da leggere.

ospite donoreNel suo ruolo di Direttore dell’Ufficio Attività tecnico-scientifiche per la previsione e prevenzione dei rischi ricopre nelle competenze della Protezione Civile Nazionale, un fulcro delicatissimo. Come si risponde a tutte le pressioni dei vari “rischi” cui è soggetto il nostro Paese?

Quando mi sono proposto per il posto che ricopro, sapevo che – nel caso fossi stato scelto – sarei venuto a fare un lavoro difficile. Ma non sapevo quanto fosse complesso e allo stesso tempo interessante.

Passare, spesso nella stessa giornata, a trattare dell’allertamento di un vulcano in eruzione, al piano di emergenza a valle di una diga, alla lotta attiva agli incendi boschivi, o alla pianificazione della risposta a una emergenza radiologica nazionale, è tanto difficile quanto stimolante.

Riesco a farlo – spero adeguatamente – grazie all’aiuto (preziosissimo) di molti dei miei collaboratori, preparatissimi – più di me – sia dal punto di vista tecnico che da quello amministrativo.

La difficoltà – e anche la sfida – è insita alla complessità intrinseca allo studio, alla comprensione e alla gestione dei rischi naturali; un’attività che unisce aspetti tecnico-scientifici ad aspetti gestionali, amministrativi, economici e sociali.

Il “rischio” esiste perché ci siamo “noi” (la popolazione, con i nostri beni e i nostri interessi, personali e collettivi) e non perché si verificano i fenomeni naturali … che sono, appunto, naturali.

La componente “sociale” del rischio è fondamentale e quella meno compresa.

Parti del territorio italiano sono oggetto di un’urbanizzazione molto fitta, cui corrisponde una densità abitativa oltre la media europea. Quali sono i principali problemi che, in tali situazioni, ci si trova ad affrontare?

In Italia si è costruito molto, soprattutto dal dopoguerra. Considerando paesi di estensione simile in Europa, l’Italia è il terzo paese per densità media di popolazione. Con circa 200 abitanti per km2, è terza dopo Regno Unito (263) e Germania (226), e ha una densità di popolazione quasi doppia di quella della Francia (104) e più che doppia della Spagna (91).

A una densità di popolazione elevata corrisponde una densità di strutture e infrastrutture altrettanto elevata e, dobbiamo dircelo, non ovunque di buona qualità e in luoghi sicuri.

È chiaro che ci sono stai errori. Ma non sono interessato a cercare i “colpevoli”, sempre che ce ne siano. Non è il mio lavoro. Piuttosto, sono interessato a capire perché ciò sia avvenuto; saperlo ci permetterà di evitare gli stessi errori.

Ci abbiamo messo decenni per “fare il danno” e non possiamo pretendere di rimediare in pochi anni. Ci vorrà tempo, e nel frattempo dovremo “mantenere la barra dritta”, perseguendo con convinzione e perseveranza l’idea che costruire bene in posti sicuri sia il mezzo giusto – l’unico mezzo, nel lungo periodo – per ridurre i danni prodotti dai rischi naturali presenti nei nostri territori.

Nel frattempo, sono fondamentali la previsione, la sorveglianza, i sistemi di allertamento e di allarme.

I rischi cui è esposto il nostro territorio sono vari, quello sismico innanzitutto, quello vulcanico per parti circoscritte, ma anche quello ambientale con un dissesto idrogeologico che è sempre incombente. Si possono ipotizzare politiche generali con cui agire per una ‘cura’ del nostro Paese?

Il rischio dovuto a inondazioni, frane, ma anche valanghe, erosione costiera, e siccità, lo chiamiamo rischio idrogeologico, o come a me piace più chiamarlo geo-idrologico, e non solo perché sono un geologo.

Il rischio ambientale è quello connesso ad esempio agli incendi boschivi, a fenomeni d’inquinamento e ai rischi connessi alla presenza di impianti o strutture industriali, incluso il rischio radiologico dovuto alla presenza o alla dispersione di sostanze radioattive.

Disegnare “politiche generali” per affrontare i rischi significa pensare – e agire – in un contesto “multirischio”. Facile da dire, e anche molto attuale (“trendy”) nei bandi e nei progetti di ricerca, ma molto difficile da attuare in termini pratici, operativi, proponendo e adottando soluzioni efficaci e sostenibili.

L’impatto che i diversi pericoli (terremoti, vulcani, maremoti, inondazioni, frane, siccità, incendi boschivi, ecc.) pongono sul territorio è molto diverso, per magnitudo e intensità, per estensione areale, per frequenza o ricorrenza, e anche nell’ambito delle “catene” dei rischi.

Dobbiamo imparare ancora molto su come trattare le condizioni “multirischio”, e come trovare strategie di mitigazione efficaci ed efficienti che mitighino le conseguenze di tutti i rischi.

Come Dipartimento, e più in generale come Paese, dobbiamo essere in prima fila su questo tema.

La ricerca nel campo delle geoscienze porta sempre a nuova conoscenza del territorio e dei fenomeni naturali. Purtroppo, in Italia alla ricerca in generale sono sempre stati destinati pochi punti di PIL. Dal suo punto di vista, c’è un ambito delle geoscienze che ritiene più “impellente” e dove maggiore dovrebbe essere l’investimento pubblico?

È vero. Ho avuto modo di scriverlo in più occasioni, e anche di dirlo in un TED che ebbi l’opportunità di tenere qualche anno fa.

Il nostro è un Paese che fatica a riconosce il valore della ricerca scientifica e anche per questo non investe – o comunque investe troppo poco – in ricerca e sviluppo e ancora meno in ricerca e sviluppo sui rischi naturali. In Europa, siamo il paese soggetto a più “rischi naturali” e siamo anche uno di quelli che investe meno. Il Programma Nazionale Ricerca (PNR) 2021-2027 ignora quasi completamente i rischi naturali e le loro conseguenze. È un controsenso.

Ma, dobbiamo dircelo, è anche colpa nostra – mi annovero ancora fra i “ricercatori” anche se ho cambiato lavoro da più di un anno. Non siamo capaci di mostrare – e dimostrare – il valore di quanto facciamo; valore non solo scientifico, ma per la collettività.

Dobbiamo imparare a mostrare con evidenze scientifiche (“numeri alla mano”) come e quanto possiamo essere utili, e quanto vale – in termini economici e sociali – la nostra conoscenza e il nostro lavoro. Serve un cambio culturale che tramuti gli geo-scienziati dall’essere – o essere percepiti – “problem maker” a “problem solver”. Per questo, forse serve un cambio generazionale.

Se poi mi chiede dove dovrebbe essere impiegato l’investimento pubblico, le dico nel migliorare le nostre capacità previsionali, che se per alcuni pericoli sono buone, per altri non sono soddisfacenti. 

Quali sono secondo lei le principali attività da mettere in campo per rendere la popolazione consapevole sui rischi del territorio?

Informazione e trasparenza sono le parole chiave. Facile da dire, difficile da fare.

Dobbiamo fare uno sforzo per fare più formazione (nelle scuole, a partire da quelle elementari) sui fenomeni naturali potenzialmente pericolosi, sui loro potenziali impatti, e su come difenderci.

Conoscere è la condizione indispensabile per prendere decisioni informate e razionali – qualsiasi esse siano.

E dobbiamo informare la popolazione, tutta, con ogni mezzo, in ogni momento utile.

Non è semplice. La “comunicazione” – e in particolare la comunicazione della scienza – è un’attività complessa, una miscela artigianale di scienza, arte ed esperienza.

Di comunicazione ne dobbiamo fare di più, e farla meglio.

Dobbiamo misurare la qualità della comunicazione che facciamo, per capire se la facciamo bene, se siamo efficaci, se i nostri interlocutori capiscono quello che diciamo.

E per fare queste cose, dobbiamo imparare da altri campi della comunicazione, non solo della scienza.

Quale consiglio si sente di offrire a coloro che vivono in zone in cui i rischi naturali sono più incombenti?

Informatevi. Pretendete informazione, chiara e trasparente.

Dovete poter avere abbastanza informazioni per prendere delle decisioni, siano esse personali o collettive.

E informatevi da fonti affidabili. Non è difficile trovarle. Il sito del Dipartimento e i siti web e i canali social degli Enti di ricerca, incluso l’INGV, sono fonti affidabili d’informazione sui rischi.

E poi direi loro  non fatevi prendere dal panico, soprattutto nel corso di un evento: affrontare con razionalità i pericoli – anche quelli naturali – aiuta a prendere le decisioni.

C’è una “scoperta” scientifica che, più di ogni altre, vorrebbe fosse annunciata quanto prima?

È difficile rispondere.

Sono un geologo e mi sono occupato di rischi naturali, in particolare di rischi geo-idrologici per tutta la carriera.

Mi piacerebbe poter dire che siamo in grado di prevedere dove, quando e quante frane avverranno nei prossimi giorni, o il prossimo anno, in risposta a eventi quali piogge intense, la fusione della neve, o i terremoti.

Ciò da un lato proverebbe che ne sappiamo di più sulle frane di quanto non se sappiamo oggi.

Dall’altro lato, sarebbe un’informazione molto utile da dare alla popolazione, che si potrebbe difendere limitando i danni.

Più in generale, mi piacerebbe poter dire, un giorno, che è aumentata la nostra capacità di prevedere i fenomeni naturali e le loro conseguenze, perché sostengo che la nostra capacità di prevedere misura la nostra capacità di comprendere i fenomeni.