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voltaire1

O sventurati uomini! O infelice terra!
O spaventosa congerie di tutti i mortali!
Eterno sostentamento di inutili dolori!
Filosofi fallaci che gridate: “Tutto è bene”
Accorrete, contemplate queste tremende rovine,
Queste macerie, questi brani di carne e queste misere ceneri,
Queste donne, questi fanciulli l’un sull’altro ammassati,
Queste membra disperse sotto i marmi in frantumi;
Centomila feriti che la terra divora,
Che, insanguinati, fatti a pezzi, ma ancora vivi,
Sepolti sotto i loro tetti, terminano senza aiuto
I loro giorni di pena tra atroci tormenti! Alle urla indistinte dei loro lamenti,
Allo spaventoso spettacolo delle ceneri fumanti,
Direste, forse “Questo è l’effetto delle leggi eterne
Che rendono necessaria la scelta di un Dio libero e buono”?
Direste, forse, fissando questa montagna di vittime:
“Dio si è vendicato, questo è il prezzo dei loro misfatti”?
Qual crimine, qual peccato commisero questi bimbi
Schiacciati e ricoperti di sangue sul seno materno?
Lisbona, ora annientata, ebbe forse più vizi
Di Londra o di Parigi, immerse nelle delizie?
Lisbona è distrutta e a Parigi si balla.

 

Così Voltaire, al secolo François-Marie Arouet, reagì alla notizia del disastro di Lisbona, avvenuto la mattina del primo novembre del 1755. Un gigantesco terremoto, di magnitudo probabilmente superiore a 8.5, aveva colpito l’area costiera di Portogallo, Spagna e Marocco. La capitale lusitana fu distrutta dallo scuotimento indotto dal sisma, dalle onde di tsunami che si susseguirono nelle ore successive e da numerosi incendi. Molte decine di migliaia le vittime. Il terremoto fu avvertito in tutta Europa e anche per questo motivo scatenò una profonda discussione tra i filosofi e gli scienziati dell’epoca, cui qualcuno fa risalire l’inizio dell’età moderna.

Nel suo Poema sul Disastro di Lisbona, di cui sopra sono riportati i primi versi, Voltaire se la prendeva con chi vedeva nei terremoti un castigo divino per i peccati dell’uomo, e con la filosofia dominante nella prima metà del Settecento: quella che vedeva la natura ordinata secondo il meglio, nella quale dominava la fede nell’ottimismo, e i cui maggiori esponenti erano Gottfried Leibniz e Alexander Pope. Lo scienziato e filosofo tedesco, nei suoi Saggi di Teodicea (1710) aveva affermato che quello era il migliore dei mondi possibili e in seguito l’inglese Pope nel suo Essay on Man (1734) aveva scritto il famoso verso Una verità è chiara, qualunque cosa esiste, è giusta (One truth is clear, Whatever is, is RIGHT). Voltaire, traducendo quest’ultima asserzione in tout est bien, la inserì nel sottotitolo del suo Poema su Lisbona (Ovvero riflessioni sull’assioma “Tutto è bene”), per mostrarne tutta la fallacia.

Quella avversata da Voltaire era una visione del mondo in cui anche un disastro come quello di Lisbona andava considerato un incidente di percorso nel migliore dei mondi possibili, ordinato da un Dio buono e giusto. Voltaire, che in gioventù aveva aderito all’ottimismo per discostarsene sempre più in età matura, dopo la catastrofe del 1755 si ribellò decisamente a questa visione, con il suo Poema la criticò con durezza e feroce ironia. Egli riportò la discussione su un piano razionale, deridendo l’idea secondo cui il terremoto era un castigo divino per le colpe dell’uomo. Lisbona è distrutta e a Parigi si balla: perché Lisbona, e non Parigi o Londra, città ben più avvezze al lusso e alla vita mondana - si chiedeva il filosofo francese - doveva patire simili sofferenze? Il Poema fu inviato da Voltaire a un’altra figura importante dell’Illuminismo europeo: Jean Jacques Rousseau. Questi, più giovane del primo di diciotto anni, respinse la visione di Voltaire definendola pessimista e senza speranza. In più, egli introdusse una riflessione importantissima per l’epoca: Converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minore imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto. Un disastro, quindi, non della natura ma dell’uomo. Ancora oggi la considerazione di Rousseau mantiene intatto il suo valore, e purtroppo dobbiamo constatarlo dopo ogni forte terremoto che colpisce il nostro paese. Voltaire non rispose mai alla lunga lettera di Rousseau, ma due anni dopo pubblicò il Candide in cui tornò, con minore veemenza ma più forte ironia, sulla tragedia di Lisbona e sul suo significato. Quando Candide arriva nella città appena distrutta dal terremoto e dallo tsunami, accompagnato dal filosofo Pangloss, quest’ultimo si rivolge ai sopravvissuti incitandoli a gioire perché – rileva ironicamente – se il disastro era avvenuto lì non era stato altrove, e quello era comunque un mondo perfetto.

La diatriba tra pensiero razionale e concezione divina del terremoto non si consumava solo tra i filosofi, ma anche sul terreno pratico della ricostruzione, coinvolgendo quindi anche la popolazione colpita e disperata. Mentre il primo ministro Sebastião José de Carvalho e Melo (in seguito nominato Marchese di Pombàl), molto pragmaticamente metteva in atto importanti misure per lo sgombero delle macerie e per la ricostruzione, un predicatore gesuita, Gabriele Malagrida, tentava di fare proseliti incitando al pentimento e alla preghiera, perché la causa della morte di 'sì tante persone sono i tuoi abominevoli peccati, e non cause naturali, andava predicando. Il Malagrida farà una brutta fine, prima esiliato da Pombàl e poi giustiziato. E Lisbona poté essere ricostruita con criteri antisismici.

La discussione che scaturì dalla catastrofe di Lisbona impegnò le maggiori menti del tempo. Oltre a Voltaire e Rousseau, importanti riflessioni scientifiche e filosofiche vennero dal giovane Immanuel Kant. Nei suoi tre Scritti sui terremoti, prodotti nei mesi successivi al terremoto di Lisbona, il filosofo tedesco fece delle formidabili considerazioni sulle cause del sisma e del maremoto, dimostrando grande lucidità e intuito scientifico. Grazie a queste grandi menti, dopo la catastrofe del 1755 si parlò sempre meno di colpa e di castighi divini, e sempre più di scienza e di rischio.

 

Riferimenti bibliografici
Kant, Immanuel (2012) Scritti sui terremoti. Robin Edizioni Srl, I libri ritrovati. Con presentazione di Augusto Placanica.
Tagliapietra, Andrea (a cura di) (2004) Voltaire, Rousseau, Kant. Sulla catastrofe. L’illuminismo e la filosofia del disastro, Bruno Mondadori, Milano.
Voltaire (2011) Candido – Zadig – Micromega – L’ingenuo. Garzanti i grandi libri, XXIX edizione.