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In un grande ente di ricerca come l’Istituto Nazionale di Geofisica Vulcanologia (INGV) sono numerosi i settori disciplinari che si richiamano alla Sismologia; settori anche molto distanti tra loro per natura delle osservazioni e per le caratteristiche dei metodi di analisi che ognuno di essi utilizza. Alcuni sembrano puntare alla comprensione dei fondamenti dell’occorrenza dei terremoti, altri hanno obiettivi che possono essere percepiti come più direttamente legati alle applicazioni pratiche della ricerca sismologica. L’interazione tra i due gruppi può talora apparire anche molto limitata. La Sismologia si è notevolmente diversificata negli ultimi decenni e questa apparente complessità ne è il risultato più diretto. Volendo provare a fare un po’ di ordine, tutte le attività svolte dai sismologi dell’INGV si possono far ricadere in tre settori fondamentali: la ricerca sugli effetti dei terremoti, quella sulle cause dei terremoti, e quella sulle caratteristiche della sismicità corrente. Ognuno di questi può essere ulteriormente declinato in almeno due sottosettori, a seconda del tipo di osservazioni utilizzate: prevalentemente strumentali, come nel caso delle reti sismometriche e GPS, e prevalentemente non-strumentali, come nel caso della sismologia storica, della geologia dei terremoti o della sismologia statistica. Lo schema che segue riassume questa struttura, che ovviamente non va considerata in modo eccessivamente rigido.

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Cosa manca, o almeno, cosa sembra mancare in questo schema? Di primo acchito si potrebbe osservare che è stato dimenticato il grande tema delle analisi della pericolosità sismica, che costituiscono poi il principale contributo della ricerca sismologica alla sicurezza e al benessere della società. Non si tratta però di una mancanza, ma semmai di una presenza silenziosa. Questo perché nell’elaborazione di un modello di pericolosità sismica entrano tutte le sei componenti riportate nello schema. Anche se in proporzioni variabili a seconda del tipo di analisi che si vuole realizzare, ad esempio se si vuole valutare la pericolosità a lungo termine oppure la pericolosità a breve termine: ognuno dei sei blocchi concettuali contribuirà all’obiettivo finale, come in una orchestra in cui nessuno è indispensabile ma tutti sono necessari. La Mappa di Pericolosità Sismica, denominata MPS04 (nell’immagine allegata), elaborata dall’INGV nel 2004 e oggi alla base della normativa per le costruzioni in zona sismica varata nel 2008 (Norme Tecniche delle Costruzioni, NTC08), è un buon esempio di questo sforzo corale. Il lavoro, infatti, parte da un esame della sismicità attesa, sia in senso spaziale che in termini di dimensioni e ricorrenza dei terremoti attesi, e a questo obiettivo concorrono prevalentemente dati storici, geologici e geodinamici, ovvero dati non strumentali in senso stretto. L’analisi prosegue con una proiezione dei prevedibili effetti della sismicità attesa, stimati a partire dalle sue caratteristiche di dettaglio, ad esempio in termini della profondità ipocentrale e del meccanismo di rottura caratteristici di ogni zona sismica. 

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Attraverso relazioni empiriche che legano lo scuotimento atteso alle caratteristiche delle aree-sorgente si arriva a definire la pericolosità sismica che, nel caso dei modelli realizzati per fini normativi, viene espressa per ogni punto del territorio come quel valore di accelerazione che ha una probabilità fissata di essere superato in un determinato intervallo di tempo. La normativa italiana, ad esempio, usa come parametro da utilizzare per le civili abitazioni il valore di accelerazione che ha una probabilità del 10% di essere superato in un intervallo di 50 anni. Anche se può sembrare astruso e sicuramente un po’ arido, questo modo di ragionare è studiato per venire incontro agli ingegneri civili, che hanno necessità di sapere qual è il massimo valore dell’accelerazione che nel 90% dei casi un determinato edificio sarà chiamato a sopportare nell’arco di un cinquantennio, che è una durata standard per l’edilizia residenziale. Per edifici strategici o infrastrutture particolarmente critiche la probabilità di superamento fissata dalla normativa scende al 5% o al 2%, il che comporta valori di accelerazione attesa sensibilmente più elevati ma allo stesso comporta un’aspettativa crescente sul fatto che quel valore, in effetti, non verrà mai superato.

A dodici anni dalla pubblicazione di MPS04 l’orchestra è stata ricostituita, con numerosi ampliamenti e aggiornamenti, per elaborare MPS16, un nuovo modello di pericolosità che dovrebbe diventare la base di partenza per un completo aggiornamento della normativa antisismica italiana. MPS16 si avvarrà dell’esperienza accumulata nella elaborazione del modello SHARE, la mappa di pericolosità sismica dell’Europa alla cui elaborazione i ricercatori dell’INGV hanno dato un contributo fondamentale. Per i sismologi dell’INGV, che da anni accumulano dati, perfezionano metodi e fanno sperimentazione, sarà il punto di arrivo di un cammino ultradecennale. Un percorso che non serve ad elaborare stime ultra-accurate dello scuotimento atteso, né purtroppo a prevedere in modo deterministico il verificarsi di un forte terremoto, almeno per ora, ma che certamente contribuirà a fotografare con sempre maggiore accuratezza la reale pericolosità sismica del nostro paese, permettendo ai politici e agli amministratori di mettere sempre meglio a fuoco le aree che hanno maggior necessità di interventi di consolidamento del patrimonio abitativo.