Newsletter n.9
Islanda, entrare nel vulcano per studiare il magma
- Scritto da Sara Stopponi
Viaggio al centro della Terra. Non il romanzo di Jules Verne, ma la suggestione che avvolge un nuovo ambizioso progetto scientifico al via in Islanda. Siamo sul vulcano Krafla, una caldera situata nel nord del Paese: è qui che un team internazionale di vulcanologi sta lavorando per installare la prima infrastruttura al mondo in grado di raggiungere il magma a una profondità di 2 chilometri sotto la superficie terrestre e studiarlo in situ.
Un obiettivo innovativo e rivoluzionario, che vede in prima linea l’INGV e che promette di aprire orizzonti finora mai esplorati nel campo della ricerca vulcanologica e del suo costante progresso.
Ne abbiamo parlato con Paolo Papale, vulcanologo dell’INGV che ci ha illustrato l’architettura del progetto KMT (Krafla Magma Testbed) in un viaggio tra le imponenti sfide e le entusiasmanti possibilità che questa iniziativa offre alla comunità scientifica.
Paolo, come nasce un’idea così inedita e innovativa come quella di aprire un pozzo direttamente sul magma all’interno di una caldera vulcanica?
Come molte idee ‘rivoluzionarie’, anche l’idea del progetto KMT (Krafla Magma Testbed) è nata quasi per caso. Nel 2009, infatti, la compagnia energetica di Stato islandese stava effettuando delle trivellazioni nell’ambito di un altro progetto internazionale, l’IDDP (Icelandic Deep Drilling Project). In quel caso l’obiettivo era trivellare l’interno della caldera del vulcano Krafla fino a una profondità di circa 4 chilometri per raggiungere fluidi vulcanici cosiddetti “supercritici”, ovvero a condizioni di temperatura e pressione sufficientemente elevate da renderne lo sfruttamento per scopi di produzione energetica ancora più vantaggioso rispetto ai fluidi tipici della geotermia convenzionale.
Bene, nonostante le notevoli conoscenze del vulcano e ulteriori studi geofisici di alto livello, effettuati prima dell’inizio delle trivellazioni, escludessero la presenza di magma a quelle profondità, dopo poco più di 2 chilometri di ‘discesa’ i macchinari smisero di avanzare: si erano imbattuti, inaspettatamente, in un corpo magmatico.
L’IDDP non aveva raggiunto i suoi obiettivi, quindi, tuttavia aveva aperto le porte a una possibilità ancora più entusiasmante per la comunità scientifica internazionale, ovvero quella di immaginare, per la prima volta in assoluto nella storia, un pozzo direttamente nel magma a una temperatura di circa 900 °C: è qui che è iniziata l’avventura del progetto KMT.
In cosa consiste l’infrastruttura prevista da KMT?
Si tratterà del primo osservatorio magmatologico al mondo, un sistema complesso che, una volta ultimato, potrà contare su una serie di pozzi equipaggiati con una strumentazione all’avanguardia ed estesi all’interno e intorno al corpo magmatico posto a 2 chilometri di profondità al di sotto della caldera del vulcano Krafla.
Saranno presenti anche laboratori e centri per l’elaborazione dei dati provenienti dai pozzi, una rete di strumenti di monitoraggio multiparametrico, centri di alta formazione per il personale operante nell’area e centri informativi ed educativi per gli studenti e la popolazione.
Quali sono gli obiettivi principali di questo progetto?
KMT è un progetto talmente innovativo che, come comunità scientifica, possiamo immaginare davvero molti obiettivi ambiziosi. Tra questi direi che quelli fondamentali si articolano sostanzialmente attorno a tre nuclei: obiettivi di tipo scientifico, tecnologico e industriale.
Per quanto riguarda gli obiettivi scientifici, sicuramente osservare, misurare e campionare il magma all’interno della crosta terrestre sarà decisivo per approfondire le conoscenze che abbiamo al suo riguardo e che, ad oggi, possiamo ottenere solo in maniera indiretta attraverso prospezioni geofisiche e geochimiche, ricostruzioni petrologiche e osservazioni sui materiali eruttati. Sarà poi importante utilizzare i dati che riusciremo a ottenere per comprendere aspetti fondamentali dei processi dietro l’origine dei continenti ed effettuare esperimenti su un sistema magmatico in situ. Ci auguriamo, inoltre, di poter tradurre tutte le conoscenze che riusciremo ad acquisire in metodi di studio di nuova generazione per comprendere, a un livello mai raggiunto in precedenza, le relazioni tra processi magmatici profondi e misure di superficie. Questo potrà essere un tassello fondamentale per il controllo e il monitoraggio di vulcani ad alto rischio, come ad esempio i Campi Flegrei.
Dal punto di vista degli obiettivi tecnologici e industriali, invece, non bisogna dimenticare che il magma presenta a noi ricercatori delle sfide tutt’altro che banali: il suo studio, quindi, richiederà di affrontare e superare problemi ingegneristici e tecnologici complessi, offrendo la possibilità di sviluppare strumentazioni potenzialmente adattabili ad altre situazioni estreme. Un’occasione irripetibile di progresso tecnologico al servizio, ad esempio, dell’energia geotermica, di cui il magma è la sorgente ultima. Si pensi, infatti, che attualmente gli impianti di sfruttamento geotermico estraggono energia da fluidi le cui temperature arrivano fino ai 300 °C: come abbiamo visto, le trivelle dell’IDDP si trovavano a circa 900 °C quando, nel 2009, hanno incontrato il magma sotto al Krafla. Produrre energia direttamente dal magma, quindi, potrebbe letteralmente rivoluzionare il mondo e l’industria dell’energia geotermica.
In cosa consiste il coinvolgimento dell’INGV nel progetto KMT?
L’INGV può fornire l’esperienza di ricercatori e vulcanologi di ben due Osservatori vulcanologici (l’Osservatorio Etneo di Catania e l’Osservatorio Vesuviano di Napoli), di cui uno, lo ricordiamo, fu addirittura il primo nella storia ad essere istituito.
In questa prima fase del progetto KMT l’INGV ha effettuato una campagna di misure multiparametriche per posizionare dei sensori sismici e gravimetrici, per misurare il campo elettrico locale e per misurare la temperatura, il flusso e la composizione delle emissioni gassose nella caldera.
Grazie al supporto dell’infrastruttura EPOS-Italia, di cui INGV è coordinatore, l’Istituto al momento è impegnato nella simulazione al computer delle fasi durante le quali la perforazione incontrerà il magma, con l’obiettivo di valutare i rischi connessi alle condizioni termiche e meccaniche all’interno del pozzo quando lo si aprirà direttamente sul magma. I risultati ottenuto saranno, quindi, fondamentali per definire i materiali da utilizzare e le condizioni migliori per procedere durante la perforazione.
Quali saranno i prossimi passi di KMT?
Come dicevo, al momento siamo in una fase preliminare di studio e simulazione, che abbiamo definito “Fase Zero” del progetto. A queste operazioni preparatorie seguirà la “Fase Uno”, con avvio presumibilmente nel 2023-24, durante la quale apriremo il primo pozzo scientifico con l’obiettivo di arrivare al magma, prelevare dei campioni, posizionare almeno uno strumento in acquisizione continua alla base del pozzo e stabilizzare il pozzo stesso. Dopodiché si andrà avanti con altre quattro fasi fino ad arrivare al pieno sviluppo e alla piena operatività dell’infrastruttura KMT.
Si tratta, come abbiamo visto, di un progetto epocale per la vulcanologia. Come pensi che cambierà l’approccio alla ricerca in questo campo?
Come in altri campi dello sviluppo scientifico, penso che anche nel campo delle Scienze della Terra si debba iniziare a ragionare su prospettive che possiamo definire di “Big Science”. Questo termine si riferisce a grandi iniziative che richiedono infrastrutture di notevoli dimensioni e costi, e molto personale altamente qualificato per la loro messa a punto e il loro funzionamento. Possiamo pensare al Large Hadron Collider di Ginevra nel campo della fisica delle particelle, o al telescopio Hubble nel campo dell’astronomia e astrofisica. Tali iniziative solitamente richiedono il coinvolgimento dei governi di molti Paesi, collaborazioni internazionali su archi di tempo molto maggiori di quelli che caratterizzano progetti di tipo più convenzionale e sistemi di gestione adeguati.
Il KMT ha costi molto inferiori rispetto agli esempi precedenti, ma si tratta comunque di investimenti che non sono usuali nel campo delle Geoscienze. Rimarrà sempre, e fortunatamente, in ruolo centrale delle ricerche portate avanti da piccoli gruppi o anche singoli ricercatori dotati di sufficiente ingegno, ma è innegabile che alcuni grandi obiettivi richiedano sforzi altrettanto ingenti e che in questa direzione la vulcanologia - e più in generale le Geoscienze - non siano ancora all’avanguardia. Ritengo quindi che nei prossimi decenni la vulcanologia possa, e in una certa misura debba, evolvere verso un approccio di tipo “Big Science”.
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