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I fluidi viscosi presenti nelle zone di faglia della crosta terrestre su cui si originano i terremoti ne condizionano l’evoluzione e la magnitudo. È questo quanto emerge da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Nature Communications (https://www.nature.com/articles/s41467-019-09293-9) condotto da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’École Polytechnique Fédérale di Losanna (EPFL), dell’Università degli Studi di Padova e dell’Università di Durham, in Inghilterra.
“Nelle zone di faglia”, spiega la ricercatrice dell’EPFL Chiara Cornelio, “l’interazione tra le rocce e i fluidi ha effetti meccanici e chimici su nucleazione, propagazione e arresto dei terremoti: tali effetti condizionano sia i terremoti naturali che quelli di natura antropica in cui la stimolazione con fluidi a diversa viscosità e caratteristiche chimiche è necessaria per l’attività estrattiva e per la geotermia”. 
Obiettivo del lavoro è, quindi, quello di studiare l’effetto della viscosità del fluido sulla stabilità delle faglie. I fluidi viscosi possono avere un comportamento duale e possono comportarsi da lubrificanti oppure da abrasivi in funzione di altri parametri, come la pressione di fluido, la velocità di scivolamento e la rugosità iniziale della superficie di contatto.
“Le faglie possono essere pensate come superfici di roccia in contatto di attrito. È l’attrito a determinare come le faglie si comporteranno, quanto sarà grande lo scivolamento e, quindi, la magnitudo dell’evento”, aggiunge la ricercatrice dell’INGV Elena Spagnuolo, “In presenza di un lubrificante il terremoto può propagarsi facilmente, mentre, in caso contrario, può originare eventi più lenti e quindi meno energetici, oppure addirittura arrestarne il movimento”. 
Nonostante la rilevanza dell’interazione tra fluidi e roccia per l’origine dei terremoti, la fisica di tale processo è rimasta a lungo congetturata e deputata a modelli teorici poiché la tecnologia della sperimentazione in condizioni di deformazione prossime a quelle di un sisma e in presenza di fluidi è risultata spesso proibitiva. Grazie al contributo di progetti europei come USEMS (Uncovering the Secrets of an Earthquake: Multidisciplinary Study of Physico-Chemical Processes During the Seismic Cycle) e NOFEAR (New Outlook on seismic faults: from earthquake nucleation to arrest), il Laboratorio Alte Pressioni – Alte Temperature (HPHT) dell’INGV si è dotato di strumenti atti a rendere possibili tali simulazioni. Insieme al Laboratory of Experimental Rock Mechanics (LEMR) dell’EPFL, e grazie al nuovo progetto europeo BEFINE (Mechanical BEhavior of Fluid-INduced Earthquakes), gli autori hanno progettato esperimenti di nuova concezione per rendere possibile lo studio di questi fenomeni.
“Capire come si comportano i terremoti in presenza di fluido ha delle conseguenze anche sulla nostra capacità di modellare e conoscerne il comportamento”, concludono gli autori, “studi come questo mostrano come una migliore comprensione delle proprietà e degli effetti dei fluidi sul comportamento delle faglie sia vitale nella prevenzione e nella riduzione della sismicità indotta”.

Link alla pubblicazione

Fluidi viscosi

Immagine - I fluidi a composizione variabile (e.g. gas, acqua, brina, infiltrazioni di idrocarburi e misture di liquido e gas) sono spesso presenti in zona di faglia e la viscosità di questi fluidi può variare di diversi ordini di grandezza. Fluidi viscosi possono anche formarsi per effetto della trasformazione parziale dell'energia del terremoto in calore. L'aumento di temperatura provoca la fusione delle rocce di contatto, come in figura. Questo effetto è stato verificato nel laboratorio HPHT dell'INGV di Roma con la macchina sperimentale denominata SHIVA.