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vita ricercatore2

Carta d’identità

Nome: Nadia Lo Bue
Anni: 42
Qualifica: Ricercatore 
Sede: Roma2
Campo di attività: Oceanografia
Colore preferito: Blu, Verde, Rosso, Giallo, Viola…

 

 

 

 

 

Solca i mari in tempesta ormai da svariati anni nonostante definisca la sua vita “ordinaria”. Colpita anche lei da quella strana malattia che si manifesta solo in chi visita l’Africa, una sliding door l’ha portata qui all’INGV. Diversamente, oggi la troveremmo in una corsia d’ospedale. La vita le ha regalato due splendide figlie e le sarebbe piaciuto scoprire le dinamiche che portarono alla deriva dei continenti.

Andiamo a conoscere Nadia Lo Bue, la protagonista di questo mese di Vita da Ricercatore.

Cosa o chi ti ha avvicinato al mondo della scienza? 

Credo che buona parte della mia curiosità sia stata stimolata da mio padre. A lui devo lunghi pomeriggi di chiacchere su com’è fatto il corpo umano davanti ai suoi atlanti di anatomia, gli esperimenti casalinghi improvvisati, ma soprattutto il privilegio di aver potuto assistere alla nascita di un bambino, quando io stessa ero poco più di una bambina.

Dimmi di più su questa ultima esperienza…era programmata?

Se ti riferisci all’evento in sé, no. Credo fu un misto attentamente calcolato di contingenze. Non si trattava naturalmente di una primipara, ma di una persona che mio padre conosceva bene e che aveva assistito altre volte. Come dire che aveva calcolato tutti i rischi e benefici della cosa. Programmata era sicuramente la mia capacità di poter accogliere un evento simile, viceversa mai me lo avrebbe proposto. Mi aveva già lungamente preparata sull’argomento, benché fossi ancora una bambina della primaria. Ricordo che mi venne a prendere da scuola dicendomi che lui sarebbe dovuto tornare in ospedale. Avrebbe potuto accompagnarmi a casa di qualche zia o avrebbe potuto portarmi con sé e magari, se avessi voluto, farmi assistere. Non ebbi dubbi! 

Da bambina cosa sognavi di diventare “da grande”?

Ovviamente un dottore…un neonatologo per la precisione.

Che materie ti appassionavano a scuola? 

Sembrerà strano, ma ho sempre preferito le discipline umanistiche sviluppando nel tempo, una particolare avversione per alcune materie scientifiche. La matematica era senz’altro il mio nemico più grande. Ho dovuto aspettare di arrivare ai tempi dell’università per attuare una vera e propria riconciliazione. 

Che adolescente eri?

Tutto sommato direi abbastanza ordinaria.

Niente colpi di testa?

Oddio forse qualcuno, ma nulla che non abbia fatto qualunque adolescente. Il fatto che non me ne ricordi particolarmente mi porta forse a non definirli “colpi di testa” ma inevitabili passaggi di crescita.

C’è stato un “mito” di riferimento a cui ti sei ispirata? 

Confesso che no, non ci sono stati miti specifici che mi hanno realmente ispirato. Piuttosto situazioni, sfide. Mi accorgo a ritroso di aver fatto quasi sempre scelte chi mi hanno spinto verso ambiti che mi costringevano ad uscire dalla mia “confort zone”, solo perché mi affascinavano terribilmente. Quindi direi che la curiosità e forse un po’ l’incoscienza, sono sempre state il mio vero motore di ispirazione.

Dove ti sei laureata e che ricordi hai del tuo percorso universitario? 

Mi sono Laureata a Palermo. Collego all’università uno dei periodi più belli e stimolanti della mia vita. L’indipendenza dello studio, il non dover rendere conto che a sé stessi, finalmente la possibilità di andare con i propri legittimi tempi (fondamentale per sviluppare un senso di autocritica), la consapevolezza di scegliere i mattoni giusti per costruire il futuro…

Il momento più emozionante della tua carriera? 

Sono due. Il primo, è sicuramente la mia prima campagna oceanografica “da sola”: unica italiana su una nave straniera, per 30 giorni in mezzo all’oceano Atlantico. Il secondo è l’indimenticabile campagna Antartica. Allestire, testare e deporre un osservatorio multidisciplinare sul fondale del Mar di Weddell insieme ai miei colleghi di avventura, è stata un’esperienza talmente adrenalinica che difficilmente la potrò dimenticare.

Invece il momento più emozionante nella tua vita privata? 

La risposta è tanto scontata quanto vera: la nascita delle mie figlie.

Cosa pensi che saresti diventata se non avessi fatto la ricercatrice?

Francamente non ne ho idea. Ho sognato per tutta la mia infanzia e adolescenza di diventare un medico; poi in un pomeriggio il sogno si è infranto con l’esito negativo dei test di ingresso in medicina, e la sera maturavo l’idea di diventare un’oceanografa. Da questo ho imparato che spesso le scelte determinanti (che siano vincenti o no sarà poi il tempo a dirlo) si devono prendere di pancia e probabilmente senza troppa progettualità. 

Come ci si rialza da una sconfitta?

Non credo ci sia una ricetta universale. Come molti, ho imparato più dai miei errori che dai miei successi, quindi li reputo una parte essenziale del viaggio. Ci si rialza perché banalmente non si può fare altrimenti. Perché ad un’azione deve necessariamente seguire una reazione. Ovviamente i tempi con cui ci si rialza sono poi un’altra storia

Da quanto tempo sei all’INGV?

Sono 18 anni quest’anno.

Qual è la prima cosa che fai quando torni a casa? 

Non sono una persona molto metodica, ma considerato l’orario a cui spesso rientro, direi che la prima cosa che faccio il più delle volte è cucinare, oltre naturalmente a ritrovarmi con la mia famiglia.

Come hai vissuto questo periodo di lockdown?

Ci sono stati indubbiamente alti e bassi. Dapprima la novità e la paura per qualcosa di serio e mai vissuto prima, poi la preoccupazione ha lasciato spazio alla voglia di potersi finalmente concedere un ritmo meno frenetico. Il lockdown ha però fatto emergere anche una condizione di stress particolare sulle donne che personalmente avevo sempre sottovalutato. Il prerequisito tipicamente attribuito alle donne dell’essere multitasking non ha infatti ripagato, ma si è trasformato in una vera e propria forma di assedio.

Qual è, secondo te, la scoperta scientifica che cambierebbe la storia della scienza? 

Il periodo che stiamo vivendo sta puntando molto l’attenzione sull’importanza delle scienze mediche e biologiche e in generale sulla capacità di trovare “rapidamente” cure innovative. Questo mi fa pensare che una scoperta in grado di cambiare significativamente la storia della scienza potrebbe riguardare il controllo del tempo. Ma, al netto dei molteplici indiscutibili vantaggi, questo potere, dato in mano alla vanità degli uomini, probabilmente finirebbe con l’introdurre più rischi che benefici.

Ti piacerebbe vivere in eterno?

Assolutamente NO. Inoltre, da ricercatore che studia processi legati al cambiamento climatico, sebbene curiosa di vedere se e come la specie umana potrà mai adattarsi a una sfida simile, confesso che il futuro (della Terra) mi suscita una certa dose di timore.

Una città che hai visitato che ti è rimasta nel cuore e una in cui hai sempre sognato di trasferirti? 

Lo so, è banale. Ma avendola vissuta spesso, ho sempre pensato che Parigi fosse la città a me più congeniale, sebbene lontana dal mare. Magari semplicemente era la mia città in un’altra vita.

Quali sono stati i tuoi viaggi più belli? 

Mi sento una privilegiata perché i viaggi sono sempre stati una costante della mia vita, fin da quando ero piccola. Questo lavoro mi ha poi permesso di viaggiare e vivere posti che probabilmente difficilmente avrei nella mia vita visto. Ogni viaggio ha avuto un valore preciso e determinante, difficile quindi stilare una classifica. Forse, l’Africa è il continente che puntualmente mi ha regalato le emozioni più forti e indelebili (nel bene e nel male). 

Sei d’accordo quindi sul “mal d’Africa”?

Decisamente. L’ho sperimentato più volte. È un vero e proprio senso di disagio che ti fa sentire completamente fuori posto una volta che torni a casa. 

Cosa ti sarebbe piaciuto scoprire, tra le scoperte del passato? 

La deriva dei continenti.

Qual è la tua principale inquietudine?

Per fortuna non credo di averne una in particolare.

Come ricercatrice è sempre tutto spiegabile?

Decisamente! Anche se spesso più della spiegazione è importante come ci si pone la domanda.

Qual è il tuo X-Factor? 

Da bravo ariete, quello di non mollare mai.

Ti piace lo sport? 

Si.

Ne hai mai praticato qualcuno? 

Tantissimi, ma mai nessuno in modo serio. Ad oggi prediligo gli sport che possono essere fatti all’aria aperta e da sempre nutro una grande passione per la bicicletta.

Ascolti musica? 

Certo.

Qual è il tuo genere preferito? 

Non esiste un genere, la musica per me segue decisamente un flusso umorale. 

Libro preferito? 

Come per la musica, scegliere un solo libro non è certamente semplice. Molti sono i libri che ho amato, o che hanno semplicemente avuto un significato particolare, quelli che ho riletto perché li avevo dimenticati o per rivivere quelle precise sensazioni (salvo poi scoprirne di altre totalmente differenti). Un libro a cui sono molto affezionata è “La mia famiglia e altri animali” di Durrell.

Se dovessi ricordare un tuo “primo giorno” quale ricorderesti? 

Il primo giorno da ricercatore NON PIU’ precario.

Cosa fai quando non sei a lavoro? 

Molte cose, la maggior parte delle quali ruota attorno la mia famiglia.

Hai un posto del cuore?

La mia Sicilia.

Nella tua valigia non può mai mancare

Un costume.

In cucina sei più da dolce o da salato? 

Salato.

Piatto preferito? 

Ma perché sempre solo uno? Sono siciliana, uno è impensabile.

Ti piace cucinare? 

Molto.

Una cosa che hai capito “da grande”? 

Troppe sono le cose che non ho ancora capito!

Cosa conservi della tua infanzia? 

Moltissimi ricordi felici.

Ultima domanda: qual è la canzone che non smetteresti mai di ascoltare? 

“Futura” di Lucio Dalla…., dedicata a noi tutti in questo periodo surreale e alienante che stiamo vivendo.

“aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo senza avere paura, domani”.