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Applicato ai Campi Flegrei un nuovo metodo per la previsione delle eruzioni, grazie a un’analisi comparativa della sismicità e delle deformazioni del suolo. A idearlo, un gruppo di ricercatori INGV e University College of London. La ricerca è stata pubblicata su Nature Communications

Prevedere le eruzioni dei vulcani da lungo tempo quiescenti, è l’obiettivo del nuovo modello concettuale sviluppato da un’equipe di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Napoli (INGV-OV) e dell’University College di Londra (UCL). Lo studio, pubblicato su Nature Communications, si basa sull’osservazione delle deformazioni del suolo comparate al tasso di sismicità, ovvero sull’analisi dello sforzo a cui sono soggette le rocce vulcaniche in relazione allo sforzo massimo sostenibile, oltre il quale il sistema vulcanico potrebbe entrare in eruzione. “Quando le deformazioni sono di piccola entità”, spiega Giuseppe De Natale, dirigente di ricerca INGV, “le rocce si comportano in maniera elastica, deformandosi in modo proporzionale agli sforzi interni. Quando, invece, gli sforzi interni superano una certa soglia, il comportamento delle rocce diventa elasto-fragile, con conseguente processo di fratturazione. All’aumentare progressivo dello sforzo, oltre una certa soglia le rocce si comportano in maniera esclusivamente fragile, generando fratture sempre più profonde che collegano la superficie con le zone dove sono concentrati gli sforzi interni. In questa situazione, un’eruzione può innescarsi”. L’evoluzione del sistema, da ‘elastico’ a ‘fragile’, può essere monitorata studiando l’andamento congiunto delle deformazioni e della sismicità.

“Questo nuovo approccio”, prosegue De Natale, “è stato utilizzato per studiare i fenomeni di bradisisma, ben noti da oltre 2000 anni, che dal 1950 a oggi hanno prodotto oltre 4 metri di sollevamento nel porto di Pozzuoli e circa 20.000 terremoti”. Il modello prevede che in un’area vulcanica come i Campi Flegrei, soggetta a continui fenomeni di sollevamento del suolo, ogni ulteriore episodio può avere un’evoluzione diversa e maggiormente critica, in quanto agisce su un sistema già modificato dagli sforzi accumulati in precedenza.

“Questa progressiva evoluzione verso una completa fratturazione dei sistemi vulcanici soggetti a grandi deformazioni cumulative”, spiega Chris Kilburn, ricercatore dell’UCL, “può chiarire anche le cause dell’eruzione del 1994 della caldera di Rabaul (Papua, Nuova Guinea), avvenuta dopo un modesto episodio deformativo (una decina di centimetri), in un’area che aveva però già accumulato, nei decenni precedenti, alcuni metri di sollevamento”.

“Finora, per la previsione delle eruzioni, si focalizzava l’attenzione sull’eventuale presenza di intrusioni magmatiche superficiali. Questo lavoro invece”, prosegue De Natale, “pone l’attenzione sulla risposta del vulcano alle sollecitazioni interne, attraverso l’osservazione congiunta della deformazione e della sismicità”. Tale applicazione ha permesso di quantificare l’entità del sollevamento oltre il quale il sistema potrebbe entrare in regime ‘fragile’, con alta probabilità di eruzione.

“Quanto l’attuale condizione dei Campi Flegrei sia vicina al punto critico dipende molto dallo stato fisico attuale del sottosuolo flegreo. Calcolare, quindi, con precisione il reale stato fisico delle rocce profonde ai Campi Flegrei è una priorità per la ricerca futura. Un obiettivo cruciale che può essere raggiunto in maniera efficace grazie a perforazioni profonde che possono esplorare direttamente le proprietà ‘non elastiche’ del sistema. Questo nuovo modello interpretativo rappresenta un’importante evoluzione rispetto ai metodi di previsione delle eruzioni, essenzialmente empirici, utilizzati finora”, conclude De Natale.

La ricerca realizzata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile. Si ricorda che dal dicembre 2012 i Campi Flegrei, che vengono continuamente monitorati e studiati da INGV, sono a livello di allerta "giallo" (attenzione).

Abstract

Unrest at large calderas rarely ends in eruption, encouraging vulnerable communities to perceive emergency warnings of volcanic activity as false alarms. A classic example is the Campi Flegrei caldera in southern Italy, where three episodes of major uplift since 1950 have raised its central district by more than 3m without an eruption. Individual episodes have conventionally been treated as independent events, so that only data from an ongoing episode are considered pertinent to evaluating eruptive potential. An implicit assumption is that the crust relaxes accumulated stress after each episode. Here we apply a new model of elastic-brittle failure to test the alternative view that successive episodes promote a long-term accumulation of stress in the crust. The results provide the first quantitative evidence that Campi Flegrei is evolving towards conditions more favourable to eruption and identify field tests for predictions on how the caldera will behave during future unrest.

cs previsone flegrei1

cs previsone flegrei2

https://www.nature.com/articles/ncomms15312