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Qual è l’intervento primario per la migliore conoscenza del nostro territorio? Lo abbiamo chiesto al Professore Roberto Paolucci, membro della Commissione per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi per il rischio sismico e ordinario di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano. Ospite d’onore del mese del nostro salotto virtuale, il Professore Paolucci ci ha parlato di prevenzione e di rischio sismico in Italia.

ospiteLa Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi è la struttura di collegamento tra la Protezione Civile e la comunità scientifica con la principale funzione di fornire al Capo Dipartimento pareri tecnico-scientifici, dando indicazioni sul miglioramento della capacità di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi. Tra i rischi cui è esposto il nostro Paese, quello sismico è certamente uno dei più pericolosi e diffusi su tutto il territorio. Come viene percepito in Italia il rischio sismico? 

Senz'altro in modo insufficiente rispetto a quello che è il rischio effettivo.

Insegno al Politecnico di Milano da diversi anni e, all’inizio dei miei corsi, sottopongo sempre agli studenti un test dal titolo Conosci il Rischio Sismico?, cercando di capire cosa sappiano in merito. Le domande che pongo sono semplici, riguardano, per esempio, la differenza tra le scale di magnitudo e quella Mercalli, se in Lombardia sia possibile che avvengano terremoti, oppure se in Italia nel secolo scorso ci siano stati o meno eventi che hanno provocato migliaia di vittime. Le risposte a queste domande dovrebbero essere patrimonio culturale comune alla popolazione di un Paese come l’Italia, ancor più di studenti di Ingegneria… ebbene, purtroppo l’esito del test è in genere piuttosto negativo.

Oltretutto, la percezione del rischio è ondivaga: per esempio, a seguito dei terremoti del 2016 dell’Italia centrale, al Politecnico sembrava che non si parlasse d’altro che dell’importanza dei corsi di Ingegneria Sismica, ma, a distanza di cinque anni, questa tendenza è già svanita e oggi in gran parte dei corsi, anche di Architettura e di Ingegneria Civile e Ambientale, buona parte degli studenti si laurea senza aver avuto un minimo di background sul rischio sismico. Se c’è questo problema di insufficiente percezione del rischio sismico a livello di cultura universitaria, figuriamoci nel resto della popolazione.

Gli eventi sismici sono sempre fonte di grande paura. Quando accadono, la sensibilità comune si propone sempre di porre un freno al “rischio” con buoni propositi, a partire dalla costruzione di case resilienti. Secondo lei manca ancora in italia la consapevolezza diffusa dei rischi derivanti dai terremoti? 

Direi di sì, manca una consapevolezza diffusa dei rischi derivanti dai terremoti nel nostro Paese e questo è il motivo principale della difficoltà nella messa a punto di politiche di prevenzione efficaci. Se manca questa consapevolezza difficilmente una Amministrazione Pubblica può convincere i cittadini a spendere soldi per un beneficio lontano come quello che può essere dato dalla prevenzione. Tanto più che, oltre che lontano nel tempo, il beneficio di cui si parla è poco tangibile: è il disastro che non si verifica. Come si può apprezzare questo beneficio senza la consapevolezza del rischio?

Per comprendere quanto sia difficile apprezzare i benefici di un disastro evitato, basta pensare al caso di Norcia durante i tre forti eventi sismici che la colpirono nel 2016: nella stampa, pochi hanno messo in luce che all’interno della città umbra siano state fatte, nel tempo, opere di prevenzione sismica che hanno permesso al patrimonio edilizio residenziale di resistere efficacemente nonostante la violenza delle scosse, limitando i crolli e il numero delle vittime. Il beneficio di questa prevenzione purtroppo non c’è stato ad Amatrice, dove gli interventi del passato non sono stati altrettanto diffusi ed efficaci.

Quando si parla di consapevolezza diffusa, ci si potrebbe riferire a quella della comunità dei cittadini di un certo comune o di un comprensorio: una comunità dovrebbe essere consapevole del rischio a cui è sottoposta e, in quanto tale, dovrebbe partecipare ed essere coinvolta nelle decisioni sulla propria sicurezza, arrivando a condividere la necessità e le scelte sugli interventi di prevenzione.

Ecco, raggiungere gli obiettivi di una consapevolezza diffusa, attraverso informazione, educazione e coinvolgimento della comunità nelle decisioni, favorirebbe una migliore percezione del rischio sismico da parte della società, permettendo una più efficace applicazione delle politiche di prevenzione.

Il governo da anni ha messo in campo vari strumenti a disposizione dei privati per migliorare il patrimonio immobiliare, a partire dal Sisma bonus introdotto nel 2013 e, oggi, maggiormente incentivato con il cd. Superbonus 110%. Nella sua esperienza di docente di Tecnica delle costruzioni e di componente della CGR, cosa si potrebbe ulteriormente fare per incentivare il miglioramento dell’edilizia privata?

Fino all’anno scorso, il Sisma bonus si poteva accompagnare all’Ecobonus con un incremento dei benefici fiscali, rappresentando effettivamente un maggiore incentivo; ciò ha stimolato la sua applicazione, seppur ancora in maniera limitata.

Per quanto riguarda il super bonus del 110%, adesso si arriva a questa percentuale anche con i soli interventi energetici: in queste condizioni, il Sisma bonus non rappresenta più un incentivo economico aggiuntivo per intervenire sulla sicurezza sismica di un edificio. Quindi il Sisma bonus risulta un ottimo intervento, ma si dovrebbero mettere a punto ulteriori meccanismi che ne possano incentivare l’applicazione.

Un ulteriore intervento per incentivare il miglioramento dell’edilizia privata in Italia dovrebbe tendere a una maggiore presenza del mercato assicurativo con forme di obbligatorietà rispetto al rischio da catastrofe naturale. Anche in questo caso con incentivi basati su sgravi fiscali. Il trasferimento del rischio dal privato e dallo Stato alle compagnie assicurative ha permesso in tanti Paesi una maggiore consapevolezza sul rischio sismico. Il cittadino, infatti, nel momento in cui si trova a pagare premi differenziati a seconda della vulnerabilità o della classificazione sismica della propria abitazione diventa più consapevole e coinvolto.

Accoppiare il Sisma bonus con forme di assicurazione obbligatorie potrebbe quindi essere di stimolo per migliorare la sicurezza dell’edilizia privata. 

In Italia circa il 73% della popolazione è proprietaria di un immobile ad uso abitativo. La capacità di resilienza della propria abitazione alle sollecitazioni dei terremoti dovrebbe essere un obiettivo primario per le famiglie. Invece, nonostante gli strumenti economici messi in campo, gli interventi edilizi stentano a decollare per il timore diffuso che, durante le lavorazioni, si debba intervenire anche “dentro” le singole abitazioni. Come è possibile migliorare la comunicazione delle nuove tecnologie a disposizione e arrivare ad una condivisione del progetto di resilienza sismica dell’edilizia privata?

La consapevolezza diffusa e la condivisione delle decisioni all’interno di una comunità, come accennavo prima, potrebbero essere la chiave per il miglioramento. Un minimo di invasività negli interventi strutturali che riguardano la protezione sismica è quasi inevitabile: tuttavia una comunità informata sul rischio è sicuramente più disposta ad affrontare piccoli e momentanei disagi. 

Qual è, a suo avviso, l’intervento primario per la migliore conoscenza del nostro territorio?

A mio avviso non si parla mai abbastanza di educazione al rischio nelle Scuole Secondarie, per esempio nei corsi di Educazione Civica o di Scienze. Ne ho avuto conferma con l’esperienza dei miei figli: la conoscenza del territorio, la geografia fisica, la geologia, per non parlare del rischio di catastrofi naturali, di fatto sono assenti o marginali nella formazione scolastica superiore.

In questa condizione di assenza formativa scolastica è difficile avviare il percorso di cui parlavamo, fatto di consapevolezza, conoscenza e condivisione delle decisioni. L’educazione al rischio deve essere diffusa anche nei corsi universitari ma oggi, purtroppo, gli studenti italiani che si iscrivono a corsi di laurea che formino esperti nella prevenzione dalle catastrofi naturali sono molto pochi.

Quindi, senza una formazione obbligatoria su queste materie nella Scuola Secondaria, difficilmente faremo molta strada.

“Vivere” un terremoto è un’esperienza che, in molti casi, non si dimentica. Qual è “l’insegnamento” sul rischio sismico che più di ogni altro vorrebbe che percepissero i suoi studenti del Politecnico di Milano?

Quello che cerco di trasmettere ai miei studenti è che il terremoto, prima di essere un numero da inserire per il calcolo di un progetto o di un dettaglio costruttivo, è una tragedia terribile che devasta un territorio e una comunità, con conseguenze che possono perdurare tantissimi anni.

Si tratta di passare dalla mera trasmissione di un metodo di calcolo a quella che dovrebbe essere, specialmente per il rischio sismico, una vera e propria sensibilizzazione da parte dello studente. Per raggiungere questo scopo, molto spesso parlo ai miei studenti della storia sismica italiana, delle conseguenze sociali dei terremoti, degli sconvolgimenti che hanno provocato, ma fare breccia non è facile.

C’è, nei suoi “sogni” la soluzione ingegneristica che vorrebbe scoprire? Qual è?

Una soluzione ingegneristica è frutto di anni di ricerca e di sperimentazione. Ho lavorato molto sulla tematica della interazione tra suolo, fondazione e struttura e in questi studi ci siamo resi conto che sono sufficienti piccoli danneggiamenti controllati alla fondazione per provocare una notevole riduzione dell’energia sismica trasmessa alla struttura. E’ un aspetto spesso trascurato nella progettazione, ma, se ben sfruttato, potrebbe invece ridurre nettamente la sollecitazione sismica sulla struttura. 

Si tratta di una soluzione che è già stata applicata in alcuni casi: quello più famoso e interessante è quello del ponte Rion-Antirion, che attraversa il Golfo di Corinto e permette di attraversare la Grecia in macchina da nord a sud. Si tratta di un ponte le cui fondazioni, progettate dal collega francese Professor Pecker, si sollevano parzialmente durante la scossa sismica, favorendo la dissipazione dell’energia che proviene dallo scuotimento sismico del suolo e la riduzione delle vibrazioni trasmesse alla sovrastruttura. Questo ponte ha subito, qualche anno fa, un terremoto piuttosto forte e le registrazioni accelerometriche hanno mostrato che il comportamento della fondazione e della struttura sono stati eccellenti, conformi alle attese dei progettisti.

Non si tratta quindi di una soluzione completamente nuova, ma sogno che un domani possa effettivamente diventare ampiamente considerata nell'ambito ingegneristico.

Per concludere, qual è il “consiglio” ricorrente che lei offre ai suoi studenti?

Una delle situazioni che ormai ci si trova ad affrontare frequentemente è l'atteggiamento a volte acritico degli studenti rispetto alle conoscenze e ai metodi che vengono proposti: un atteggiamento che emerge soprattutto rispetto ai risultati che ottengono dai calcoli. Sono sempre più abituati ad inserire dati in un programma e, schiacciando un pulsante, a raccogliere i risultati come se provenissero da una rivelazione divina.

Il consiglio che do agli studenti è che quando ottengono un risultato devono pensare come prima cosa di aver sbagliato, ricontrollare e poi ricontrollare di nuovo: alla fine, quando proprio non avranno trovato nessun errore, possono pensare che quel risultato sia effettivamente giusto. Ma a quel punto, devono trovare il modo di spiegare quel risultato, a sé stessi prima di tutto, ma anche al professore e a un potenziale uditorio. Credo che questo sia il modo per recuperare un senso critico da parte degli studenti che in molti casi non è ancora ben formato.