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vita ricercatoreCarta d’identità

Nome: Alessio Di Roberto
Anni: 42
Qualifica: Ricercatore
Sede: Pisa
Campo di attività: Vulcanologia
Colore preferito: Rosso

 

 

 

 

 

 

 

Nato a contatto con la natura, la vive appieno non appena ne ha l’opportunità. Determinato, affronta le difficoltà come una testa d’ariete. Non fategli nessuno sgarbo perché lo costringerete a contare fino a dieci e a farvi aggiungere ad una lunga black list (meglio non farne parte). L’idea in queste prime righe potrebbe essere di una persona a metà tra Rambo e Haran Banjo, in realtà Alessio Di Roberto (sì, parliamo di lui) è un ragazzo che si è rimboccato le maniche e non ha mai mollato i suoi obiettivi e ideali. Sogna un mondo migliore per sua figlia e una maggiore attenzione alla cultura come antidoto all’odio e all’ignoranza. Ama la sua famiglia, il rock e la fotografia…sarà per questo che ha davanti a sé una fotografia…con una cartina e un percorso tracciato...e tutta l’intenzione di seguirlo…fino in fondo.

Cosa o chi ti ha avvicinato al mondo della scienza? 

Fin da bambino, e grazie ai miei genitori, ho sempre vissuto a stretto contatto con la natura sentendo la necessità di comprendere come certe cose “funzionassero”. Di lì la mia propensione a “indagare”.

Che ricordi hai del contatto con la “natura” da bambino?

Negli anni ’80 eravamo un bel gruppo nutrito di ragazzini che vivevano nella stessa via di un quartiere in costruzione in una piccola cittadina, circondati da cantieri aperti, campi incolti e boschetti. Dalla mattina alla sera liberi di scorrazzare ovunque: ti lascio immaginare le avventure e le esplorazioni di tutto ciò che ci circondava (ne ho ancora le cicatrici addosso). Cose che per un genitore di oggi sarebbero fatali alla sola vista. Il contatto con la natura è stato quindi totalizzante.

Da bambino cosa sognavi di diventare “da grande”? 

Ho veramente poca fantasia, come tanti bambini affascinati dai programmi di Piero Angela volevo fare il paleontologo o il vulcanologo. Forse ci sono riuscito!

Domanda banale, ma quanto è importante credere nei propri sogni?

Potrei usare uno dei tanti (e banali) aforismi per descrivere quanto è importante credere nei propri sogni, anche ambiziosi, ma preferisco usare due frasi di Sylvester Stallone (un mito di noi nati negli anni ‘80) tratta da Rocky Balboa ovvero che “forte non è colui che non va al tappeto, ma è colui che una volta andato al tappeto ha la forza di rialzarsi”… D ’altro canto “i l mondo non è tutto rose e fiori, è davvero un postaccio misero e sporco e per quanto forte tu possa essere, se glielo permetti ti mette in ginocchio e ti lascia senza niente per sempre”. Quindi è importante credere nei propri sogni e perseverare con tutte le proprie forze per raggiungerli, ma anche un po' di fattore C non guasta! 

Che materie ti appassionavano a scuola? 

Non ho mai avuto grandi preferenze, mi piaceva un po’ tutto. Avevo ottimi risultati nelle materie scientifiche ma me la cavavo piuttosto bene anche con quelle umanistiche. Non sono mai stato un “secchione”; come diceva sempre la professoressa “il bimbo è intelligente ma potrebbe fare di più se si applicasse”. Ho sempre creduto fin da bambino che la vita avesse mille sfaccettature e che valesse la pena esplorarle tutte. 

Hai trovato quindi persone nel tuo cammino che hanno saputo “stimolarti” nel tuo percorso di crescita?

Fino alla scuola superiore ha giocato tanto la voglia innata o, come dicevo sopra, la propensione ad indagare. Tutto è cambiato all’università, dove invece ho trovato dei docenti molto capaci e coinvolgenti che hanno saputo indirizzare questa propensione.

Che adolescente eri?

Tranquillo, curioso, appassionato di mille cose e sportivo. Ho sempre praticato nuoto a livello agonistico da quando ero molto piccolo. Nel tempo libero andavo per boschi con i miei genitori o a pesca con gli amici.

C’è stato un “mito” di riferimento a cui ti sei ispirato? 

No. Ho la fortuna di avere due genitori splendidi che hanno rappresentato, entrambi per aspetti diversi, quello che volevo essere da grande. Questo sebbene abbiano svolto attività lavorative completamente diverse da quella che io svolgo oggi. Posso dire senza piaggeria che sono stati loro due i miei miti.

Dove ti sei laureato e che ricordi hai del tuo percorso universitario? 

Mi sono Laureato a Pisa, in Scienze Geologiche. Durante gli anni dell’università mi sono divertito molto. I miei compagni di corso erano in maggioranza persone divertenti e molto piacevoli. Naturalmente ci sono stati dei momenti difficili che anche grazie a loro sono riuscito a superare agilmente. Ricomincerei domattina se potessi avere la macchina del tempo.

Sei rimasto in contatto con loro?

Sì, alcuni sono addirittura colleghi con cui collaboro quotidianamente. Con altri ho buonissimi rapporti “virtuali”, nel senso che ci scambiamo battute sui social.

Il momento più emozionante della tua carriera? 

Banalmente, quando finalmente dopo undici anni di precariato, tanto impegno e tanti bocconi amari ingoiati, sono riuscito a ottenere un posto da ricercatore. Ricordo ancora che al telefono con mia moglie lessi l’email con il decreto che sanciva il mio ingresso in ruolo, fra le lacrime…mie e sue.

Come hai vissuto gli anni di precariato?

Ehm… Un’altra domanda? Gli anni di precariato sono stati sicuramente quelli in cui scientificamente ho gettato le fondamenta della mia carriera di ricercatore (seppur brevissima ancora). Saltando da un progetto all’altro ho potuto e dovuto affrontare svariate tematiche di ricerca, spesso molto diverse tra loro. Questo è stato sicuramente un bene e ha ampliato la mia visione di alcuni problemi scientifici e di come approcciarsi alla loro risoluzione. Viceversa, arrivare ogni dicembre con il terrore di non essere rinnovato per l’anno successivo per pura mancanza di fondi è stato uno stillicidio che mi ha portato molto vicino ad abbandonare. In quel caso il supporto di mia moglie è stato determinante affinché continuassi, e anche quello di alcuni colleghi. Li ringrazierò per sempre.

Invece il momento più emozionante nella tua vita privata? 

Beh questa è facile (e anche un po’ scontata): 6 febbraio 2020, ore 18:50, quando è nata mia figlia Alida, la cosa più bella che abbia fatto in vita mia.

Se dovessi scegliere uno tra gli insegnamenti più importanti da trasmetterle…quale sarebbe?

Non sono religioso, anzi sono ateo e tendente all’agnostico, ma in questo caso il versetto della Bibbia Matteo 22, 39 “Amerai il prossimo tuo come te stesso” credo sia il primo insegnamento che qualsiasi persona sana di mente dovrebbe trasferire ai propri figli. Quando ci alziamo la mattina e decidiamo di porci con gentilezza e senza pregiudizi verso il prossimo abbiamo già compiuto un bel pezzo di strada. Questo non significa porgere l’altra guancia…in quello sono negato, ho una black list lunga un chilometro.

Cosa pensi che saresti diventato se non avessi fatto il ricercatore?

Un artigiano. Spesso ho l’esigenza e il bisogno di ritirarmi nel mio garage dotato di ogni strumento per il bricolage e creare qualcosa, fondamentalmente esche in legno per la pesca. Sono momenti nei quali svuoto completamente il cervello. Sono anche bravino. Creare mi rilassa e mi soddisfa, quindi sì, un artigiano, magari del legno.

Da quanto tempo sei all’INGV?

Dal 2002 ho cominciato a “bazzicare” l’INGV per la mia tesi di laurea e successivamente per il dottorato. Ufficialmente dal 2007, anno in cui ho avuto il mio primo assegno di ricerca.

Qual è la prima cosa che fai quando torni a casa? 

Anche questa è facile. Bacio la bambina e la mamma, non sempre in quest'ordine .

Come hai vissuto questo periodo di lockdown?

Beh, Alida è nata un mese prima che iniziasse il lockdown stretto. Quindi da un lato mi sono veramente goduto i suoi primi mesi di vita come non avrei potuto fare se avessi lavorato regolarmente. Viceversa, sono uno che è sempre in giro, o per lavoro o per le mie mille passioni, e essere costretto a casa ha pesato tanto sul morale. Grazie a mia moglie e alla bambina però tutto è stato più leggero. Il sorriso di chi ami è la miglior medicina.

Qual è, secondo te, la scoperta scientifica che cambierebbe la storia? 

Un vaccino contro l’odio. Sarebbe banale sperare di trovare un rimedio contro tutte le malattie o trovare un elisir di lunga vita. Credo che la vita, magari una vita ragionevolmente lunga, debba essere vissuta a pieno e per quanto ci viene concesso. Sprecarla odiando chi è diverso da te è il modo più sbagliato di viverla.

Interessante…cosa crea odio oggi secondo te? E soprattutto…chi lo crea? Esistono secondo te dei “generatori” di odio? 

L’odio lo creano l’ignoranza, intesa come mancanza di conoscenza o di vissuto, e la paura. Chi ha viaggiato e si è mescolato col prossimo non può che amarne le differenze e non può essere spaventato dal “diverso”. L’odio e la paura li creano chi dall’odio e dalla paura trae vantaggio e affermazione personale. Una società nella quale vengono continuamente alimentati paura e odio  svilupperà sudditanza verso chi propone soluzioni in grado materialmente di risolvere i problemi che causano quella paura. La storia è piena di esempi.

Una città che hai visitato che ti è rimasta nel cuore e una in cui hai sempre sognato di trasferirti? 

San Francisco mi ha colpito. Sconfinata, con mille sfaccettature, un enorme formicaio di persone diverse che vivono assieme, apparentemente in buona armonia. Naturalmente non è il Bengodi e le decine di homeless in Market Street mi fecero impressione: io che vengo da un paesello di 35.000 anime rimasi scioccato. Non ho una città in cui ho sempre sognato di trasferirmi, sono un dannato provinciale e la mia zona di comfort sono le mie terre, quelle in cui sono cresciuto.

E’ importante secondo te amare la propria terra?

Credo di sì, o meglio per me è importante. La propria terra, che non necessariamente coincide col luogo in cui si è nati (per me sì), è il luogo sicuro in cui ritornare per ricaricare le pile.

Quali sono stati i tuoi viaggi più belli? 

Sicuramente il viaggio di nozze in Indonesia: Java, Sulawesi e Bali sono dei posti meravigliosi che ti mettono a confronto e contrasto con popolazioni molto diverse da noi, nel bene e nel male. Poi vabbè dove ti giri ti giri c’è un vulcano…quindi!!! Allo stesso tempo ho amato tutti i viaggi che abbiamo fatto in Italia assieme a mia moglie: Salento, Cilento, Sardegna…abbiamo un Paese che è uno scrigno di tesori.

Cosa ti sarebbe piaciuto scoprire, tra le scoperte del passato? 

La fotografia. Poter cristallizzare su pellicola un istante e renderlo eterno ha cambiato il mondo e la percezione di noi stessi. Senza la fotografia sarebbe difficile realizzare che al mondo esistano così tanti e tali bellezze ma anche testimoniare eventi drammatici e crudeli a futura memoria. Le sole parole alcune volte non sono sufficienti.

Quale evento “storico” avresti voluto fotografare?

Rimanendo nel mio campo lavorativo mi sarebbe piaciuto immortalare un evento geologico grande del lontano passato, uno di quelli di cui l’uomo moderno non ha percezione, che ne so…la fase di acme dell’Ignimbrite Campana oppure una delle grandi eruzioni della caldera di Yellowstone. O ancora un collasso di versante delle Canarie o delle isole Hawaii.

Qual è la tua principale inquietudine?

Temo di non riuscire a rendere il mondo di mia figlia anche di poco migliore di quello che ho ricevuto io in dono. 

Questa purtroppo è una paura reale…quanto coraggio ci vuole oggi per decidere di mettere al mondo un figlio? Se pensiamo che il boom di nascite è stato subito dopo la seconda guerra mondiale. Pensi sia di nuovo possibile dopo la pandemia o la società oggi è troppo diversa?

Coraggio e incoscienza. Perché, parliamoci chiaro, il momento giusto o il mondo ideale per far nascere un figlio non ci sarà mai, ci saranno sempre le incertezze della vita. Oggi sono l’affitto o il mutuo trentennale, il lavoro che oggi c’è e domani no o che improvvisamente svanisce per il pluriraccomandato di turno nel contesto di un welfare che tutto fa meno che supportare le famiglia alla natalità, soprattutto le donne. “È un mondo difficile, è vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto” (cit. Tonino Carotone). Però poi prendi il coraggio a quattro mani e si prova a fare questo grande passo…ci si prova, e riprova…e riprova ancora e magari a 42 anni ci si fa. Poi inizia il bello…

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda credo che la società post bellica e quella attuale non siano paragonabili…entrambe ne escono socialmente ed economicamente distrutte ma segnate da valori e condizioni al contorno del tutto diverse. Mi auguro che dopo questa batosta ci sia un rimbalzo...economico, ma soprattutto culturale.

La conversazione che non hai mai fatto e che ti sarebbe piaciuto fare…con chi?

Avrei voluto parlare di più con i miei nonni. Uno non l’ho mai conosciuto e l’altro l’ho perso da molto piccolo e lo rivedo solamente in flashback sfuocati e lontani. Mi sarebbe piaciuto mettermi in mezzo a loro due, seduto su uno scoglio, farmi raccontare la loro vita corta e complicata e magari raccontargli la mia. 

Come ricercatore è sempre tutto spiegabile?

Assolutamente no. Ci sono fenomeni ancora difficilmente interpretabili alla luce delle attuali conoscenze scientifiche. Credo anche che sarà difficile trovare risposte a tutte le domande. 

La tua promessa mantenuta e quella che non sei riuscita a mantenere…

Non so rispondere a questa domanda...

Il tuo amore a prima vista?

La mia bimba, avvolta in una copertina con i colori, ahimé, del Pisa: un affronto per me che nasco nella provincia di Livorno. 

Finirà mai questa rivalità tra pisani e livornesi?

Mai. Pisani e Livornesi da tempo immemore (più o meno dal ‘500) sono sempre a pituccarsi in piazza, sulle spiagge, ovviamente allo stadio senza nemmeno ricordare (o sapere) quale sia il vero motivo. Ormai lo sfottò è d’obbligo. Poi però siamo sempre toscani e con le gambe sotto il tavolo ci ricordiamo solo di quello!

Qual è il tuo X-Factor? 

Imparo facilmente e mi piace imparare. Di solito mi basta vedere come si fa una cosa e in breve riesco a farla piuttosto bene. Soprattutto le cose pratiche.

Ti piace lo sport? 

Sì ma non sono un fanatico.

Che mi dici dell’esperienza con il nuoto agonistico? 

L’ho praticato dall’età di 6 anni fino ai 18 circa, dopodiché  sono passato alla pallanuoto, uno sport bellissimo che ho praticato fino ai tempi dell’università. Dopo purtroppo ho dovuto mollare per l’accavallarsi di troppi impegni. Da lì non sono più riuscito ad entrare in una piscina per vedere una partita…era troppa la voglia di infilarsi la calottina e buttarsi nella mischia!!!

Ascolti musica? 

Si molta e di tutti i tipi. Dai classici del rock anni ‘70 alle Tagliatelle di nonna Pina…avere bambini piccoli ti fa fare anche questo! 

Qual è il tuo genere preferito? 

Rock classic! Senza dubbio.

Libro preferito? 

Ne ho molti. Uno che mi è veramente piaciuto molto e che ho riletto due volte nonostante la sua mole è “Il quinto giorno”, un romanzo dello scrittore tedesco Frank Schätzing. Me lo consigliò una collega dicendomi che mi sarebbe piaciuto, e in effetti aveva ragione. Apprezzo molto i romanzi di avventura.

Se dovessi ricordare un tuo “primo giorno” quale ricorderesti? 

Quello da babbo, nello stesso momento in cui ti mettono in braccio quel fagottino capisci che sei completamente fregato e la sensazione si fa sempre più concreta man mano che cresce.

Cosa fai quando non sei a lavoro? 

Mi godo la mia famiglia e mi dedico ai miei svariati hobbies…la pesca, la caccia, il mare…per parlarne in termini etnoantropologici sono un cacciatore-raccoglitore.

Hai un posto del cuore?

Il mio mare in Toscana, fra Baratti e Punta Falcone: quando esco in canoa la mattina all’alba fra delfini e tonni sembra di essere in paradiso.

La tua maggior fortuna? 

La mia famiglia. Se sono dove sono è solo grazie a loro; i miei genitori prima e mia moglie dopo mi hanno reso la persona che sono oggi. Da loro non ho mai avuto imposizioni o limiti, mai ostacoli nel mio cammino; mi hanno sempre sostenuto quando sono caduto, incoraggiato quando avrei voluto abbandonare e calmato quando avrei voluto ruggire in faccia la mia rabbia contro qualcuno, in questo sono davvero tanto fortunato.

Nella tua valigia non può mai mancare? 

Gli strumenti del mestiere. Quaderno di campagna, martello e macchina fotografica sono indispensabili. 

In cucina sei più da dolce o da salato? 

Salato. Un gran piatto di pasta o una bella grigliata di carne e la vita ti sorride.

Piatto preferito? 

Non ho un vero piatto preferito. Adoro la pasta in tutte le sue espressioni.

Ti piace cucinare? 

Sì, mi rilassa molto. Come dicevo prima…ogni tanto ho bisogno di “costruire” e cucinare è un po’ costruire un piatto assemblando, con una buona dose di fantasia, gli ingredienti disponibili.

Una cosa che hai capito “da grande”? 

Citando “il Bobbe”, un mio grande compagno di caccia, “quando ti arrabbi (non dice proprio arrabbi ma ci siamo capiti)…fai fatica due volte, per arrabbiarti e per calmarti”. Quindi da grande ho capito che è meglio rimanere sereni, anche se il mio carattere mi porterebbe verso altri lidi.

Cosa conservi della tua infanzia? 

Un tesoro di ricordi tutti belli, anche quelli brutti. Quando si è bambini non si comprende completamente il valore che hanno anche i momenti difficili, siamo giustamente concentrati sul momento che viviamo e le cose negate alcune volte ti sembrano enormi ingiustizie. Da grandi si impara che proprio quei momenti difficili ti hanno insegnato a gustarti meglio la vera essenza della vita. Un ricordo che mi commuove sempre è la Turbo Panter (una macchinina radiocomandata) che i miei genitori mi regalarono negli anni ‘90, con grandissimi sacrifici, in un momento economicamente non felice della nostra vita. Oggi che sono genitore, capisco il come e il perché…e per questo mi commuovo.

Ultima domanda: qual è la canzone che non smetteresti mai di ascoltare? 

Fix you” dei Coldplay. “Lights will guide you home…And ignite your bones…And I will try to fix you”. In pratica…vieni a casa…che sistemiamo tutto.