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ospite donoreDocente universitario di Bioingegneria Industriale e Direttore scientifico della Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, il suo percorso è un modello di virtù nazionale. Stiamo parlando della Professoressa Maria Chiara Carrozza: già rettore della Scuola Sant'Anna di Pisa e ministra del MIUR, è stata riconosciuta come una delle 25 donne più influenti nel settore della robotica. Abbiamo avuto il grande piacere di ospitarla nel nostro salotto virtuale per farle qualche domanda sul suo percorso, sugli scenari relativi alle nuove tecnologie e sugli aspetti del mondo del lavoro di domani.  

Professoressa, Lei è stata riconosciuta come una delle 25 donne più influenti nel mondo della robotica. Quali sono oggi i nuovi scenari che vedono protagoniste queste tecnologie?

I nuovi scenari della robotica oggi sono certamente connessi a tutte le misure per contrastare la diffusione del Covid19. Pensiamo, per esempio, ai robot che circolano nelle strutture per provvedere alla pulizia e alla sanificazione degli ambienti, oppure alla robotica per la telepresenza e la teleriabilitazione. Esiste tutto un filone relativo alla telepresenza e al supporto agli operatori umani, in operazioni sporche o pericolose, che in questa particolare circostanza della pandemia si è rivelato molto importante. 

Nella sua carriera è stata oltre che Rettore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa anche Ministra del MIUR. Cosa è significato per Lei ricoprire questi ruoli prestigiosi?

Per me ricoprire questi ruoli è stato un grande onore. Ho avuto l’opportunità di trasformare la Scuola Superiore Sant’Anna, l’istituzione in cui servivo in qualità di Professoressa e poi di Rettore, in una Research University. Questo con l’obiettivo di sviluppare ricerche importanti e scalare i ranking internazionali nell’ambito della produzione scientifica, traguardo che è stato raggiunto nel corso degli anni. Nel caso del MIUR ho ricoperto come Ministra un ruolo di grandissima responsabilità dove ho dato il massimo del mio contributo per migliorare la scuola italiana, l’istruzione e la ricerca portando all’attenzione del Governo e del Parlamento questi temi al fine di ottenere maggiori finanziamenti, così come ho cercato di parlare al Paese per riportare l’attenzione sull’istruzione e sull’educazione. 

La presenza femminile negli ambiti scientifici delle materie STEM è ancora intorno al 20%. Nonostante le azioni di promozione a livello internazionale, pensiamo ad esempio alla Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza, questo indice stenta a salire. Secondo Lei cosa occorrerebbe per portare il rapporto numerico in equilibrio?

Occorrerebbe sicuramente riportare nelle scuole e in tutte le sedi educative possibili l’attenzione sul fatto che la scelta di una materia da studiare, di una professione o di un tipo di attività, non dipende dal genere. Oggi persiste, purtroppo, un bias culturale molto forte, questo può essere abbattuto solo attraverso l’educazione, il monitoraggio e il mentoring a tutti i livelli. Inoltre bisogna essere molto rigorosi nel non accettare certi stereotipi che vengono diffusi dal mondo dei media. Anche nell’ambito politico c’è ancora molto da fare, così come nel mondo della ricerca e in quello accademico dove, nelle posizioni di presidenza e direzione, le donne sono effettivamente poche. Questo significa che dobbiamo ancora superare molti ostacoli.  

Quando la robotica fece il suo ingresso nei processi produttivi si determinò moltissima preoccupazione nel mondo lavorativo perché si pensò subito che la sostituzione dei robot portasse inevitabilmente la disoccupazione degli operai. Lei che studia la robotica come vede, oggi, quelle preoccupazioni?

Se da un lato il processo di automazione, sia motoria sia cognitiva, può entrare in conflitto con i posti di lavoro perché rende automatici dei compiti in precedenza eseguiti manualmente, dall’altro bisogna considerare che questo aspetto apparentemente negativo è superabile proprio con l’innovazione: è importante stimolarla anche attraverso il contributo dei lavoratori in altri processi produttivi. Pensiamo all’utilizzo di robot nella sanificazione ambientale: si tratta di una automazione positiva perché elimina un fattore di rischio per l’operatore umano. E se quel posto di lavoro viene meno, grazie all’innovazione ne possono emergere molti altri, come quelli relativi alla produzione e allo sviluppo dei robot stessi, per esempio. 

Negli ultimi tempi si parla spesso di robotica sociale. Che cosa si intende e come può contribuire al miglioramento delle condizioni dell’uomo?

La robotica sociale ha molti aspetti. Il primo è connesso alla sfera dell’intrattenimento e allo svolgimento di determinati compiti in cui il robot, attraverso il dialogo, deve essere in grado di capire le intenzioni del soggetto umano per portare a termine l’operazione. L’altro aspetto della robotica sociale è più clinico e assistenziale. In questo caso entrano in gioco robot in grado di garantire accompagnamento e supporto alle persone anziane o disabili che ne hanno bisogno. Quando parliamo di robotica sociale, poi, non dimentichiamo che il termine “sociale” significa anche “nella società”. Un robot per poter stare tra le persone deve avere delle caratteristiche di accettabilità e di risposta a esigenze etiche che lo portano ad essere modificato e progettato appositamente per quello scopo: un robot industriale, per esempio, non può essere applicato direttamente alla società, anche per ragioni di sicurezza.

Nell’ambito delle controversie legate allo sviluppo della robotica, quanto è importante un approccio etico?

Come anticipavo nella risposta precedente, nel momento in cui il robot entra nella società e occupa uno spazio professionale, come quello manifatturiero o l’ambiente clinico per esempio, occorre rispettare regole di sicurezza sul lavoro e formare adeguatamente gli operatori. Tuttavia, quando la robotica fa il suo ingresso nella società civile in spazi pubblici come la scuola oppure domestici come le case dei consumatori che lo acquistano per servizi vari, viene a contatto con persone non formate o protette: un approccio etico risulta in questo senso ancora più importante. È talmente delicato l’equilibrio che si viene a creare che proprio l’etica diventa uno degli stessi “strumenti” con cui si progetta il robot, ciò al fine di renderlo rispettoso dei diritti della persona con cui dovrà interagire. Non si parla quindi di ‘leggi dei robot’ ma di proprietà dei robot, che devono rispettare l’etica nel rapporto uomo-macchina.

Perché è così importante il ruolo della politica nel governare il rapporto tra scienza e società?

Nel rapporto tra scienza e società il ruolo della politica è quello di fare da mediatore per l’ottenimento dell’interesse pubblico. Come è stato per me nel passato, l’impegno politico è un impegno nei confronti della società. Anche nell’utilizzo della robotica così come di altre tecnologie fondamentali la politica deve fungere da regolatore, essere uno strumento di incoraggiamento e di supporto per l’innovazione tecnologica e assumere, al contempo, un ruolo di controllo rispetto agli aspetti più delicati, come quelli etici.

Quando è nato in Lei il desiderio di fare scienza al servizio della salute delle persone?

Ho maturato questa decisione quando ho scelto di fare ricerca nell’ambito della bioingegneria della riabilitazione, verso i trentacinque anni. Entrare a far parte di un mondo in cui si facevano gli interessi di persone con disabilità e con forti diminuzioni delle abilità motorie o cognitive ha rappresentato per me un modo per rispettare l’impegno sociale e fare qualcosa per coloro che sono più fragili. È stato il senso di “interesse pubblico”, che ho sempre sentito forte in me, a spingermi in questa direzione. Mi sono occupata di riabilitazione per scelta e per convinzione, volevo essere utile agli altri, ai più deboli.

Cosa si intende quando si parla di salute e di ospedale 4.0?

Quando parliamo di ospedale 4.0 ci riferiamo a un luogo dove la trasformazione digitale permette una migliore gestione dei dati del paziente. Il fascicolo sanitario elettronico, la cartella e la storia clinica, per esempio, vengono digitalizzati e resi “trasportabili”, così da poter essere utilizzati al meglio in caso di bisogno. Questa mole di informazioni di proprietà del paziente diventa, in questo modo, facilmente accessibile permettendo il trasferimento delle conoscenze rispetto al suo stato di salute al fine di migliorare e personalizzare eventuali terapie e procedure cliniche, anche attraverso l’utilizzo dei dati in modo statistico o elaborati mediante intelligenza artificiale. La digitalizzazione e l’ospedale 4.0 rappresentano davvero delle grandi opportunità per la nostra sanità.

Qual è stata la Sua più grande soddisfazione in campo lavorativo?

Ce ne sono state molte ma una in particolare è stata la mia prima elezione a Rettore. Ricevere un tale riconoscimento elettorale da parte della comunità della Scuola Superiore Sant’Anna per rappresentarla nelle sue funzioni è stato, per me, un momento molto importante, una grande soddisfazione. È stato sicuramente il periodo più bello della mia vita dal punto di vista professionale.

Come reputa il livello della ricerca sui temi della robotica in Italia?

In Italia il livello della ricerca sui temi della robotica industriale, biomedicale e di servizio è molto alto. Questo sia grazie a una tradizione di robotica manifatturiera in campo industriale forte, pensiamo alla nostra industria automobilistica, sia a una comunità scientifica molto produttiva nei settori medico e sanitario che ha fatto compiere, al settore della robotica biomedica, notevoli passi in avanti. A riprova del fatto che il nostro Paese è un’eccellenza, per ben due volte la carica di Presidente della Società internazionale di robotica e automazione (IEEE - Robotics and Automation Society) è stata ricoperta da un nostro connazionale. Ritengo che questo sia un riconoscimento molto importante.

Qual è per Lei il ruolo della creatività nella scienza? 

Secondo me il ruolo della creatività nella scienza è molto importante ed è legato alla fantasia e al coraggio di uscire dai domini, di innovare. Nonostante nella scienza come nell’arte sia molto importante l’innovazione graduale e progressiva, la storia ha dimostrato che è anche fondamentale seguire il genio di persone capaci di creare “discontinuità”, quelle per cui il mondo dopo il loro passaggio è stato diverso. Pensiamo ad Alan Turing, Marie Curie e Louis Pasteur, per esempio, grandi menti che hanno battuto sentieri nuovi. Partendo dal coraggio dell’innovazione e attraverso la creatività si sono fabbricati, come degli artisti, gli strumenti per generare il cambiamento.

Le applicazioni delle ultime tecnologie creano modi e mondi nuovi che comprendono lavori che prima non esistevano. Come può l’Università rispondere con un’offerta all’altezza di questa nuova domanda lavorativa?

Per rispondere a questa nuova domanda lavorativa l’Università, secondo me, deve porsi una sfida enorme legata all’abbattimento delle barriere disciplinari. Le nuove professioni spesso sono trasversali, creative, dinamiche, cambiano a seconda delle tecnologie abilitanti che si sviluppano. Pensiamo all’intelligenza artificiale: mentre in passato non era considerata trasversale, oggi chi lavora in questo campo deve avere necessariamente sviluppato competenze diversificate. L’Università in questa ottica deve formare anche la classe dirigente del futuro ed essere preparata a un mondo in cui le professioni non sono più scolpite e definite nel tempo ma possono cambiare di anno in anno. In questo quadro la formazione continua riveste un ruolo fondamentale. 

Per concludere, quali sono secondo Lei le competenze che i giovani d’oggi devono sviluppare per essere competitivi nel mondo del lavoro di domani?

Le nuove professioni saranno creative, dinamiche: bisogna quindi sviluppare competenze trasversali e continuare sempre a formarsi per apprendere nuove tecnologie e tecniche così come nuovi ambienti di sviluppo e piattaforme. L'attitudine all’apprendimento continuo e all’adattamento sono, a mio avviso, le capacità individuali che saranno premiate nel mondo del lavoro di domani e, in questo senso, la scuola può fare tanto mettendo a punto nuovi percorsi che facciano emergere le competenze di ciascuno anche in un’ottica di interdisciplinarità per valorizzare la molteplicità e varietà delle conoscenze acquisite.