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A dieci anni dal terremoto dell’Aquila, che ha segnato profondamente la vita dei cittadini abruzzesi e non solo, siamo andati a vedere come un team di esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia effettua una serie di rilievi alla base del versante della montagna del Morrone (Appennino Centrale) dove, in prossimità dell'abitato di Roccacasale, emerge una faglia attiva considerata dalla comunità scientifica una delle principali sorgenti sismogenetiche dell’Appennino abruzzese.

Stefano Gori, ricercatore dell’INGV, è da mesi impegnato in attività geologiche di terreno, attraverso degli scavi chiamati “trincee”, al fine di scoprire i segreti di questo “gigante di roccia” e della sua faglia.

In cosa consiste il lavoro sul campo dei ricercatori INGV all’interno delle trincee?

Il lavoro consiste nel cercare di chiarire l’attività delle faglie negli ultimi migliaia di anni, mediante l’analisi delle pareti delle trincee. Lungo queste pareti, infatti, è possibile studiare il rapporto fra i movimenti della faglia e i sedimenti depostisi lungo il versante del monte. In sostanza, ogni volta che una faglia come quella del Monte Morrone si attiva, generando un sisma di elevata magnitudo, la rottura cosismica si propaga dalla profondità dell’ipocentro del terremoto fino alla superficie terrestre, dislocandola e dislocando quello che si trova lunga la sua traccia. Tale dislocazione interessa, ovviamente, anche i sedimenti che in maniera naturale si depositano lungo il versante della montagna, come prodotto dell’erosione delle rocce calcaree che compongono il Monte Morrone. Quindi, tali sedimenti consentono la “registrazione geologica” degli eventi passati definiti, appunto, “paleo-eventi” di attivazione.

Perché è importante scoprire la storia della faglia del Monte Morrone?

Lo scopo di tali studi, effettuati in collaborazione con l’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara e l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, che vengono chiamati “paleosismologici”, è quello di investigare la storia geologica recente dei movimenti della faglia per cercare di capire vari elementi fondamentali come, ad esempio, ogni quanto tempo la faglia si è attivata nei millenni passati (detto “tempo di ricorrenza”), generando terremoti di elevata magnitudo (ovviamente, con incertezze sull‘età dell’ordine di qualche secolo); quanto tempo è trascorso dall’ultimo evento di attivazione; la possibilità di associare un forte terremoto storico noto dai cataloghi di sismicità storica italiani con l’attivazione della faglia oggetto degli studi e, infine, quale sia la massima magnitudo attesa di un terremoto generato dalla faglia studiata. Tali informazioni, ovviamente, al momento sono “incerte” e non sono utilizzabili per prevedere futuri terremoti, ma sono comunque fondamentali per avere un quadro più completo possibile sulla pericolosità sismica dell’Appennino centrale.

Cosa si è compreso in questi anni dalla sequenza dell’Italia Centrale (Amatrice, Norcia, Visso)?

La sequenza sismica del 2016-2017 ha permesso di verificare l’efficacia di tali studi geologici condotti sulle faglie attive. Infatti, indagini analoghe a quelle in corso lungo la faglia del Monte Morrone furono condotte poco meno di una ventina di anni fa lungo la faglia del Monte Vettore-Monte Bove. I risultati di questi studi, uniti ad altri tipi di indagini geologiche aventi lo scopo di studiare l’attività della faglia nelle ultime centinaia di migliaia di anni, avevano permesso di definire la faglia del Monte Vettore-Monte Bove come una faglia attiva. Inoltre, l’ultimo evento di attivazione era avvenuto prima dell’ultimo millennio e quindi potenzialmente responsabile di eventi sismici futuri di magnitudo stimati intorno a 6.5.

Questi studi sono stati pubblicati circa 13 anni prima della sequenza del 2016 ma sono stati confermati solo dalla sequenza sismica stessa. Infatti, essa è stata effettivamente determinata dall’attivazione della faglia del Monte Vettore-Monte Bove e, in particolare, la scossa principale della sequenza, verificatasi il 30 ottobre 2016, è stata di Magnitudo 6.5.

La sequenza sismica del 2016-2017, dal punto di vista scientifico, ha permesso di verificare che l’approccio geologico utilizzato per studiare la faglia del Monte Vettore-Monte Bove è evidentemente utile. La sua applicazione ad altre faglie attive del territorio nazionale è auspicabile, non solo per migliorare la conoscenza approfondita del territorio ma, soprattutto, per pianificare in modo più consapevole l’uso del territorio stesso e portare avanti al meglio le attività finalizzate alla riduzione del rischio sismico.