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L'European Multidisciplinary Seafloor e Water Column Observatory (EMSO) è l’osservatorio scientifico multidisciplinare a scala continentale per il monitoraggio e lo studio degli oceani, proiettato verso la scoperta del ruolo dei fenomeni oceanici e marini e delle loro interazioni nel complesso sistema terrestre. Gli osservatori, situati dal Nord-Est Atlantico attraverso il Mediterraneo e fino al Mar Nero, sono piattaforme dotate di più sensori, posizionati lungo la colonna d'acqua e sul fondo marino. Misurano costantemente diversi parametri biogeochimici e fisici, che possono rivelarci l’insorgere di rischi naturali, l’evolversi dei cambiamenti climatici e dello stato degli ecosistemi marini. Attraverso la produzione e l’analisi dei dati, EMSO offre a scienziati, istituzioni e responsabili politici informazioni straordinarie anche per la definizione delle politiche ambientali. E oggi tutta la comunità internazionale, soprattutto giovanile, si sta scuotendo alla ricerca di soluzioni per un ambiente ecosostenibile.

Ma come è nata l’idea di EMSO?
Ne parliamo con Laura Beranzoli, dirigente tecnologo INGV e referente tecnico-scientifico per l’INGV del programma EMSO.
EMSO è nato da una idea tanto naturale quanto visionaria a cui era difficile dare credito. Nel 1993 quattro ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica (ING), due senior, Giuseppe Smriglio e Paolo Favali, e due giovani, Francesco Frugoni e io, pensarono che potesse essere un’opportunità di avanzamento delle conoscenze realizzare un osservatorio sottomarino per studiare i fenomeni geofisici da un punto di vista diverso, ma analogamente a come si faceva sulla terra emersa.

Ma la tecnologia dell’epoca lo consentiva?
La realizzazione non era per nulla facile. Scoprimmo presto – ovviamente, non con internet, googlando qualche chiave di ricerca -, ma molto più tradizionalmente con ricerche bibliografiche, che alcuni sismologi francesi avevano addirittura ‘scomodato’ un veicolo sottomarino con tre persone a bordo per inabissare un sismometro e installarlo in uno dei pozzi perforati a fondo mare nell’ambito dell’Ocean Drilling Program. Uno sforzo enorme per acquisire solo dati sismologici.

Quindi scopriste che c’erano altri “visionari” nel mondo…
Si, infatti. Non eravamo soli nel pensare che si potesse osservare la Terra non “dalla terra” ma da un’altra prospettiva, quello dell’ambiente marino. Tuttavia, ancor prima di progettarlo, eravamo convinti che un osservatorio in fondo al mare dovesse necessariamente essere multidisciplinare, equipaggiato cioè con sensori che coprissero più discipline, in primis la geofisica con le branche di cui l’ING si occupava. Ma per un progetto multidisciplinare occorrono altre professionalità esperte… Era ovvio che ci occorreva, innanzitutto, l’intervento di ingegneri che fossero esperti in tecnologie marine e che ci istruissero sulla fattibilità del nostro progetto e della nostra “visione”. Non ne conoscevamo direttamente ma, grazie al passaparola tra colleghi del CNR, con tanta pazienza in altre ricerche bibliografiche e un pizzico di fortuna, si arrivò ad individuare una società italiana esperta del settore. Provammo a contattare la società per chiedere una eventuale disponibilità di qualche suo esperto a parlarne e…senza che nemmeno ce ne rendessimo conto, il giorno dopo un dirigente della società arrivò da Venezia a Via di Vigna Murata: i quattro ricercatori erano stati presi sul serio! L’ingegnere si mostrò subito interessato al progetto e ci raccontò che la società aveva partecipato ad uno studio di fattibilità finanziato dalla Commissione Europea del 5° Programma Quadro. Si aprivano scenari nuovi e inaspettati per dei “visionari”… Si aprì davanti a noi uno scenario inedito, non solo per l’esperienza personale di ognuno di noi quattro ricercatori, ma per l’Istituto stesso: predisporre una proposta di progetto valida, in risposta ad un bando della Commissione Europea, per richiedere un finanziamento e realizzare un prototipo di osservatorio che potesse essere installato in modo relativamente semplice e economico. Una sfida emozionante e inimmaginabile.

Incontraste problemi operativi?
In primo luogo la ricerca di una partnership solida. Eravamo consapevoli che non potevamo costruire un progetto con soli due partners e per giunta dello stesso paese. Ma, man mano che il progetto prendeva corpo, trovavamo con relativa facilità altri possibili partners, italiani, francesi, tedeschi. Sembravano quasi che non aspettassero che la nostra proposta. Di lì a poco nacque il progetto GEOSTAR “Geophysical and Oceanographic Station for Abyssal Research”, primo di una serie di tre dove l’ente coordinatore era sempre l’ING: e noi non avevamo nessuna esperienza di progetti, nessuna esperienza di management.

Paura di mancare l’obiettivo?
Non pensavamo all’eventualità di mancare l’obiettivo. Non per incoscienza ma, semplicemente, eravamo talmente concentrati su come raggiungere al meglio gli obiettivi intermedi che non avevamo il tempo di pensare al rischio del fallimento. C’erano partners molto esperti e ‘competitivi’, ne eravamo consapevoli e volevamo essere all’altezza. Qualche battutina ironica alle spalle e qualche sorrisetto di sufficienza dei colleghi d’istituto erano per noi un incentivo a raccogliere la sfida. Ma è certo che un fallimento avrebbe messo l’ING in grave imbarazzo e noi fuori gioco per sempre: non c’era condizione più sfavorevole per tentare di aprire un nuovo settore di ricerca. Ma la determinazione ha “pagato” l’impegno… La nostra determinazione è stata la chiave di tutto. Abbiamo studiato, abbiamo imparato cose nuove e lontanissime da noi, come il management. Ma da quella esperienza è nato un gruppo sempre più folto e coeso, con nuovi progetti, una rete europea sempre più vasta di gruppi di ricerca interessati a collaborare per un unico obiettivo: realizzare una rete di osservatori.

Qual è stato il momento più emozionante?
Indimenticabile: il 1° ottobre 2016. Giunse finalmente una nota ufficiale all’odierno INGV con la quale la Commissione Europea comunicava di aver ufficialmente formalizzato l’accettazione della richiesta avanzata dal governo italiano, anche per conto di altri sette Paesi europei (Francia, Grecia, Irlanda, Portogallo, Regno Unito, Romania e Spagna), di costituire una istituzione Europea, EMSO ERIC - European Research Infrastructure Consortium -, che coordinasse in modo permanente gli sforzi dei Paesi per mantenere, estendere e sviluppare una rete di osservatori sottomarini multidisciplinari, alcuni dei quali diretti discendenti di quel progetto GEOSTAR. Oggi EMSO ERIC rappresenta una realtà innovativa nel panorama italiano delle Infrastrutture europee di ricerca. E’, infatti, il secondo ERIC costituito con sede legale in Italia. Ciò richiede a INGV, nel ruolo di Representing Entity della comunità scientifica italiana che il MIUR gli ha attribuito, di adottare una impostazione innovativa che favorisca un’azione sinergica tra attività legali-gestionali e attività scientifiche-tecnologiche finalizzata alla massima facilitazione nella gestione dei processi e delle procedure specifiche nell’ambito della partecipazione italiana alle Infrastrutture di Ricerca. Guardando indietro penso di poter dire che la realtà è andata ben oltre la nostra immaginazione.