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Pepe

L’INGV è, oggi, uno dei maggiori Enti di Ricerca nel panorama nazionale e internazionale, impegnato, grazie all’instancabile lavoro dei suoi ricercatori e tecnici, su tantissimi fronti che vanno dalla ricerca al monitoraggio sismico, vulcanico e ambientale, fino alle attività di divulgazione scientifica e di Terza missione. Conta tre Dipartimenti, otto Sezioni organizzative, sette Sedi principali e quindici Sedi distaccate distribuite su tutto il territorio nazionale. La sua storia inizia però esattamente venti anni fa, in un mercoledì pomeriggio di fine settembre in cui, con un Decreto Legislativo, il Governo italiano stabiliva la nascita di un nuovo grande Ente figlio dell’unione di cinque Istituti già esistenti: l’Istituto Nazionale di Geofisica di Roma, l’Osservatorio Vesuviano di Napoli, l’Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania, l’Istituto di Geochimica dei Fluidi di Palermo e l’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico di Milano. 

Il 29 settembre di quest’anno, a due decadi esatte dalla firma di quel Decreto, l’INGV ha inaugurato i festeggiamenti per i suoi primi venti anni, organizzando una giornata di porte aperte al pubblico dedicata al racconto delle sue attività di ricerca e due giornate istituzionali rivolte a Ministri e Presidenti di Enti di Ricerca “cugini”. Gli appuntamenti sono stati un’occasione molto importante per ricordare il ruolo cruciale della collaborazione tra ricerca e amministrazione nel progresso scientifico ed economico. Obiettivo, questo, perseguito costantemente dai vertici dell’INGV, da sempre attenti a rendere competitivo l’Istituto in tutti i campi del sapere di sua competenza. Per conoscere meglio il rapporto strettissimo esistente all’interno dell’INGV tra il braccio “burocratico” e quello “scientifico-operativo” abbiamo incontrato Tullio Pepe, Direttore Generale dell’Istituto dal 2007 al 2012.

Dottor Pepe, come ricorda “dall’interno” la nascita dell’INGV?

Beh, la ricordo molto bene! Era il 10 gennaio del 2001 quando il Comitato che aveva redatto i regolamenti generali del nuovo Ente, del quale facevo parte, fu convocato insieme al primo Presidente dell’INGV, Enzo Boschi, e al futuro Direttore Generale dell’Istituto, nonché mio maestro e amico, Cesidio Lippa, nello studio del Ministro dell’Università e della Ricerca pro-tempore Ortensio Zecchino. Quel pomeriggio, alla presenza del Ministro, venne costituito formalmente l’INGV, la cui istituzione – data dalla fusione di cinque Istituti precedentemente autonomi – era stata prevista più di un anno prima dal famoso Decreto Legislativo n. 381 del 29 settembre 1999, di cui poche settimane fa abbiamo festeggiato il ventesimo compleanno. Mi piace sempre ricordare che in quella stessa occasione, mentre dichiarava costituito il nuovo Ente, il Ministro Zecchino con un gesto quasi teatrale ci tenne a firmare il Decreto con il quale veniva approvato in favore dell’Istituto il cosiddetto “Progetto Irpinia”, un affare da 60 miliardi di lire per noi estremamente importante in quanto fu proprio grazie a quel Progetto che riuscimmo a costruire e ad attivare la nostra Sede di Grottaminarda (AV).

Cosa ha significato per lei ricoprire la carica di Direttore Generale dell’INGV?

È stata un’esperienza formidabile. Io sono nato “burocraticamente” all’interno dell’Istituto, dove ho svolto tutta la mia carriera: sono stato anche molto fortunato, ho potuto fare una carriera veloce culminata con la soddisfazione più grande, nel 2007, quando mi è stato permesso di assumere la funzione di Direttore Generale dell’Istituto. Allo stesso tempo, però, il ricordo non è privo di malinconia: la mia nomina a decorrere dal 1° dicembre di quell’anno seguiva la scomparsa, avvenuta il precedente 18 novembre, del caro amico Cesidio Lippa, storico Direttore Generale dell’INGV. Ho ricoperto l’incarico di DG per quasi cinque anni, dopodiché sono rientrato nei ruoli dell’Istituto nella mia qualifica di Dirigente. Voglio aggiungere che sono stati cinque anni molto intensi anche perché in quel periodo si sono avvicendati ben tre Presidenti: ho vissuto l’ultima fase della lunga presidenza Boschi, la breve ma intensa presidenza del Professor Domenico Giardini e l’inizio del mandato del Presidente Stefano Gresta.

Come convive la vocazione scientifica dell’Istituto con la sua anima manageriale?

Direi che questo è un tema centrale e al tempo stesso “spinoso” per la vita dell’Ente. Stiamo parlando di una realtà che, da un lato, è un Ente pubblico, sovvenzionato in via ordinaria dallo Stato e soggetto quindi a tutte le “limitazioni” proprie del settore pubblico in termini di pubblico impiego, di gestione del personale, di contrattualistica e di acquisizione di beni e servizi; dall’altro lato, però, si tratta di un Istituto caratterizzato da un altissimo grado di operatività poiché oltre ad essere, come è noto, un Ente di Ricerca, è anche una componente molto importante del Sistema Nazionale di Protezione Civile. Questo significa che per l’Istituto i tempi sono sempre stretti e sembrano non bastare mai, l’emergenza è spesso continua: l’obiettivo dell’amministrazione e del management in genere (non sempre facile da perseguire) è quindi quello di conciliare il più possibile queste esigenze tipiche di una struttura operativa con le “regole del gioco” del pubblico impiego cui bisogna, ovviamente, sottostare. 

Ci racconta un aneddoto che la fa sorridere ripensando alla sua carriera in Istituto?

Ce ne sono stati diversi, moltissimi dei quali affondano le loro radici nei mitici anni Ottanta. Però, dovendone scegliere uno solo, mi viene in mente quando Enzo Boschi sbarcò in Istituto, era il 1982. A quel tempo l’ING (la “V” sarebbe arrivata quasi venti anni dopo) era dignitoso ma molto piccolo e un poco sonnolento; l’arrivo di Enzo ebbe l’effetto di scuoterlo dalle fondamenta, attraversandolo come un cavo elettrico ad alta tensione. Per prima cosa, di concerto con Giuseppe Zamberletti, il padre della Protezione Civile italiana, fu organizzato il servizio di sorveglianza sismica h24 del territorio nazionale, allestendo, nella nostra sede di Monte Porzio Catone, una prima rudimentale sala operativa nella quale affluivano i dati rilevati dalle poche stazioni della rete sismica. Eravamo in un'ala dell'Osservatorio astronomico che avevamo in subaffitto, con i marinai precettati da Zamberletti che fissavano tutta la notte i rulli dei sismografi e avvertivano il sismologo reperibile al minimo oscillare dei pennini… Qualche tempo dopo, la sala operativa, presidiata ormai dai nostri ricercatori e tecnici, fu trasferita nella nostra sede di Roma, nel quartiere Esquilino, in un appartamento alquanto malandato al secondo piano di un villino un poco sinistro. Una volta venne a trovarci il conduttore del TG2 Alberto La Volpe per un servizio sul terremoto di San Donato Val di Comino (era il 1984) e non riusciva a credere che il cuore di un servizio così importante come quello di sorveglianza sismica fosse alloggiato in quelle stanze spoglie; a un certo punto disse a qualcuno: “Mi sembra di stare in una sede sotto copertura della CIA!”.

Qual è stato invece il momento più emozionante della sua carriera?

Su questo non ho alcun dubbio: è stato il 21 dicembre del 2018, quando abbiamo avuto modo di “stabilizzare” (come si dice in gergo) un grande numero di precari superando un po’, quindi, il problema del precariato che per anni ha costituito un tema spinosissimo per il nostro Ente, come anche per molte altre Pubbliche Amministrazioni. Ricordo che in quell’occasione facemmo una vera e propria corsa contro il tempo poiché le norme vigenti imponevano dei termini perentori, ma riuscimmo infine a disporre un grande numero di assunzioni a tempo indeterminato. Fu un momento molto bello ed emozionate, svolto alla presenza del Presidente Carlo Doglioni, del Direttore Generale Maria Siclari e di un paio di consiglieri di amministrazione, durante il quale chiamammo uno alla volta i giovani – e meno giovani – precari per la firma del loro contratto davanti a me nelle vesti di Direttore degli Affari del Personale. Fu un gratificante punto di arrivo di un lungo percorso, nel quale intervenne anche un ulteriore aspetto emozionante e malinconico perché, neanche a farlo apposta, quello stesso giorno, il 21 dicembre 2018, venne a mancare Enzo Boschi, durante la cui lunga presidenza molti di quei giovani – e meno giovani – precari erano stati, ormai parecchi anni prima, assunti.

Lo scorso 29 settembre abbiamo inaugurato l’anno di festeggiamenti per i 20 anni dell’Istituto. Cosa augura all’INGV che verrà?

Beh, il mio augurio più sentito è quello di riuscire a far convivere quelle che sono le sue più grandi apparenti “contraddizioni”: la prima e più importante è quella di cui ho parlato prima, ovvero la necessità di conciliare l’anima di Ente pubblico con quella di Ente operativo. Sono però convinto che ci siano, sia nella comunità scientifica che nel management che recentemente è stato innervato di molti giovani come voi, tutte le premesse per riuscire a farlo come e meglio di quanto abbiamo fatto noi in passato (che comunque non abbiamo fatto male, tutto sommato!).